Report Rai 3: al di là del polverone, il livello di approfondimento migliora, ma un libro di economia dell’energia sarebbe utile

Milena-GabanelliIl 13 dicembre scorso Report, la nota trasmissione d’inchiesta di Rai 3, è tornata a parlare di energia, sollevando un polverone per le accuse mosse ad Eni, relativamente a una presunta tangente per ottenere i diritti di sfruttamento di un giacimento nigeriano (servizio: La Trattativa).

Non voglio entrare su questo argomento, di cui non sono competente. Mi limiterò a commentare l’ultima parte, nella quale si ritorna sul confronto fra fonti fossili e fonti rinnovabili (servizio: A tutto sole). Rispetto ad altri interventi, il giornalista ha cercato di approfondire meglio gli argomenti di cui tratta, andando a verificare una serie di dati tecnici e provando a condurre un confronto più dettagliato dei pregi e dei difetti delle varie fonti di energia.

Restano tuttavia delle imprecisioni o delle lacune, che tendono inevitabilmente a mettere in risalto le rinnovabili a scapito delle fonti fossili.

Per cominciare, si sovrastima sensibilmente il costo di un eventuale pieno di carburante per l’auto di piccole dimensione che viene mostrata. Si tratta infatti di una vettura leggera, che probabilmente potrebbe fare 20-25 km con un litro. Questo implica che per fare 130-140 km, ne servirebbero 6-7 di litri. Ai prezzi attuali ciò significa nel caso peggiore 7 litri*1,5 euro/litro = 10,5 euro e non gli “almeno 14 euro” che vengono citati nella trasmissione. Certo, il divario con il pieno elettrico (1,5-2 euro contro 10-11 euro) rimane ampio, ma non si dice che il prezzo di acquisto delle auto elettriche è molto maggiore dei veicoli a benzina o diesel.

Quando poi si inizia il confronto tra fossili e rinnovabili, si tira fuori il concetto di Energy Return on Investment (EROI), una misura fisica, che purtroppo può avere ben poco significato dal punto di vista economico. Noi infatti siamo interessati non all’energia in sé, ma alla potenza espressa in un certo luogo a una certa ora e per un certo periodo di tempo. In questo senso, anche un processo fisico con un EROI inferiore all’unità, ossia che dà meno energia di quanta non ne prenda, può essere economicamente interessante. Si pensi agli impianti idroelettrici di pompaggio o alle pile ricaricabili.

Un altro grave errore si ha quando si passa a valutare i costi per i pannelli fotovoltaici di ultima generazione. Qui si parla di 35 euro per MWh (costo medio per la produzione di energia). Ora, si tratta di una cifra poco credibile (pochi secondi prima il ricercatore dell’ENEA parlava più verosimilmente di 15 centesimi di euro per kWh, ossia 150 euro/MWh) e che anche qualora fosse vera, merita una precisazione. Io credo che il produttore volesse dire che il costo d’investimento è di 35 euro per MW di potenza installata. Il costo medio di produzione dell’energia dipende poi da dove metti l’impianto (al sole o fra la nebbia), da quanto ti dura, ecc, perché questi fattori incidono su quanti MWh di energia un pannello di un MW di potenza ti produrrà nel corso della sua vita utile. Si avrà così il levelized cost of enercy (LCOE), che appunto dipende da molti fattori, anche ambientali.

Subito dopo si inizia a fare un attento lavoro di confronto fra il ciclo di vita del fotovoltaico e quello del gas. Lodevole tentativo, sebbene ci siano alcune pecche qua e là. Per esempio, i nuovi giacimenti di idrocarburi mica si trovano solo in fondo agli oceani, come testimoniano i giacimenti shale americani o il sito di Tempa Rossa in Basilicata.

Poco oltre, parlando di efficienza nell’uso del gas, si dimentica che spesso gli impianti a gas sono usati in assetto cogenerativo e che il calore di scarto viene in parte recuperato e usato nell’industria o nelle abitazioni. Questo aumenta molto l’efficienza con cui l’energia contenuta nel gas viene utilizzata.

Quando poi si dice che il prezzo dell’energia prodotta dal gas non comprende il costo della CO2, si dice il falso, perché le centrali a gas sono soggette in Europa all’ETS e pagano per avere il diritto di emettere CO2. Che poi questo prezzo ora sia basso è un’altra questione.

Infine, delude molto il riferimento al caso dei marò prigionieri in India. La missione di cui facevano parte mirava sì a proteggere il transito di una petroliera nell’Oceano Indiano, ma rientrava in un più ampio intervento a tutela del commercio contro i pirati somali che infestavano la zona fino a qualche anno fa. Allo stesso modo, perché non tirare in ballo il costo per il sistema giudiziario italiano di gestire i crimini legati all’eolico in Calabria? O gli abusi ai danni del Conto energia per il fotovoltaico?

Il pezzo è concluso dalla Gabanelli che tira in ballo due numeri, senza rifletterci sopra, inviando perciò un messaggio quanto meno parziale.

Sui sussidi alle fonti fossili che superano quelle alle rinnovabili pesa infatti il caso dei paesi medio-orientali, che finanziano pesantemente il consumo di idrocarburi delle loro economie. In Italia il sussidio è molto più limitato ed è compensato dalla extra tassazione che grava sui carburanti (accise). Sui posti di lavoro, poi, c’è poco da dire: bisogna essere felici se per fare una stessa cosa (avere energia elettrica) si impiegano più persone? Al di là dell’attuale disoccupazione dilagante, che potrebbe giustificare politiche che favoriscono l’occupazione, questo conferma che al momento produrre da fonti rinnovabili costa di più che produrre da fonti fossili.

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