Turchia: esploso nuovamente il gasdotto dall’Azerbaigian

Explosion closes Azerbaijan-Turkey gas pipeline againA tre settimane dal precedente attacco, il gasdotto che collega il giacimento offshore azerbaigiano di Shah Deniz alla rete turca è stato fatto saltare nella provincia di Kars, nella parte orientale dell’Anatolia.

Il gasdotto era stato riaperto domenica, al termine dei lavori di riparazione dei danni dell’attacco di inizio agosto. Secondo quanto riportato, anche in questo caso le operazioni di ripristino richiederanno parecchi giorni.

L’attacco dovrebbe essere riconducibile al PKK, in risposta agli attacchi operati dall’aviazione turca contro le milizie curde in Siria. Oltre al gasdotto dall’Azerbaigian, nelle scorse settimane sono stati fatti saltare anche il gasdotto dall’Iran, l’oleodotto dall’Iraq e un elettrodotto, confermando la vulnerabilità delle infrastrutture energetiche turche e la loro rilevanza come obiettivi militari.

Il prezzo del petrolio può scendere ancora

Il prezzo del petrolio può scendere ancoraSegnalo una mia intervista uscita oggi su Il Nodo di Gordio, di cui propongo di seguito l’incipit.

Il prezzo del petrolio ha sforato oggi a ribasso i 40 dollari al barile. Ritiene si tratti di un prezzo soglia o, per le informazioni a Sua disposizione, è ipotizzabile un ulteriore calo?
Un ulteriore calo è senza dubbio possibile. All’orizzonte ci sono grosse preoccupazioni circa il tasso di crescita della domanda petrolifera dei Paesi emergenti. E con l’offerta che continua a crescere, meno domanda del previsto vorrebbe dire prezzi ancora in discesa. Gli operatori, finanziari e non, si stanno muovendo nelle ultime settimane sulla base di aspettative di questo genere.

L’Arabia Saudita si è già ritrovata con problemi di liquidità. Quanto può andare avanti con prezzi del petrolio così bassi senza ripercussioni sulla propria economia?
L’Arabia Saudita sta ricorrendo al mercato debito, è vero. Ma controlla enormi riserve di liquidità, oltre che di greggio. Per quanto l’impatto negativo sull’economia sia inevitabile, per il Paese non ci sono al momento rischi specifici di instabilità politica dovuta al taglio delle spesa pubblica. Le finanze saudite sono in grado di andare avanti ancora per parecchi trimestri senza grossi elementi di rischio, anche considerando che le contromisure in termini di ristrutturazione della spesa pubblica sono già in atto.

Il resto dell’intervista è accessibile qui.

Ucraina e sicurezza energetica

Ucraina e sicurezza energeticaSegnalo un saggio di Diego Cordano dal titolo Ucraina e sicurezza energetica, pubblicato nella sezione approfondimenti del sito dei Servizi di informazione. Il lavoro è suddiviso in due parti. Nella prima, l’autore propone una riflessione sul concetto di guerra ibrida e sulla letteratura in materia. Nella seconda propone invece una lettura della questione russo-ucraina in chiave energetica, individuando tre modalità con cui gli aspetti energetici sono risultati rilevanti.

La prima modalità è quella del controllo militare delle infrastrutture chiave, tra cui naturalmente spiccano quelle energetiche. Durante le diverse fasi del conflitto, il controllo di gasdotti, linee elettriche e terminali di importazione, come dimostrato nelle operazioni condotte dalle forze armate indipendentiste sia in Donbass sia in Crimea.

Particolare accento è posto anche sull’entità delle riserve energetiche dell’area orientale del Paese, la cui sottrazione al controllo di Kiev costituisce un elemento fondamentale di indebolimento. Per quanto riguarda i giacimenti di carbone del Donbass, rappresentano infatti il 90% della produzione ucraina, anche se l’elemento più importante delle attività nella regione è la produzione industriale (un quinto del totale di tutta l’Ucraina, prima della guerra).

Per quanto riguarda gas e petrolio, le risorse presenti nell’area orientale del Paese sono probabilmente consistenti come sostengono le fonti citate dall’autore – a cominciare dal campo di gas da argille di Yuzivska, in Donbass – ma non sono ancora state provate e le attività di coltivazione richiederebbero in ogni caso diversi anni e molti miliardi di investimenti internazionali. Non solo è Shell ha dichiarato la forza maggiore per Yuzivska, ma anche Chevron ha abbandonato le attività in Ucraina occidentale, vicino al confine con la Polonia, per vai delle condizioni geologiche avverse e dell’incertezza sul quadro fiscale in Ucraina.

La seconda modalità è quella della pressione economica, a partire anzitutto dalla questione del prezzo delle forniture di gas naturale russo all’Ucraina. L’autore ricostruisce puntualmente i livelli di prezzo praticati da Gazprom a seguito delle decisioni russe di non rinnovare gli sconti concessi al governo ucraino prima delle destituzione di  Yanuchovic e giunti a scadenza nel corso del 2014.

Tutto vero, a cominciare dalla volontà russa di indebolire il nuovo governo di Kiev, ma il rischio però è quello di far apparire le scelte russe come unilaterali, laddove si inseriscono in un intreccio di mosse e contromosse, da parte delle diverse fazioni interne al sistema politico ucraino e da parte dei governi occidentali.

Per esempio, il ritiro degli sconti sul gas ha riallineato i prezzi praticati a Naftogaz a quelli pagati dai clienti dell’Europa occidentale (al netto di sconti particolari) e ha fatto venir meno una situazione di beneficio precedente concessa a Yanukovich, in risposta al cambio di regime a Kiev e all’inizio del sostegno finanziario occidentale all’Ucraina. Il contesto è come sempre fondamentale.

La terza modalità è quella della comunicazione strategica russa. Vecchia probabilmente quanto la guerra, la propaganda è utilizzata con maestria dal governo russo, come dalle controparti occidentali.

GNL: il gas americano arriverà per davvero in Europa?

Tra le tante conseguenze, la caduta dei prezzi del petrolio ha anche causato una drastica riduzione dei prezzi del GNL in Asia, fortemente indicizzati alle quotazioni del greggio. Se fino all’anno scorso era piuttosto normale trovare prezzi asiatici anche del 50% più alti di quelli europei, a partire dall’inizio dell’anno la situazione è cambiata, complice – almeno temporaneo – il rallentamento delle economie asiatiche.

L'evoluzione dei prezzi del gas in Asia, Europa e Nord America

Questa nuova situazione ha cambiato alcune dinamiche di breve e di medio periodo. In primo luogo, per gli operatori europei non sarà più possibile riesportare parte del GNL importato, come successo negli anni scorsi (8 Gmc nel 2014) grazie alla differenza di prezzo, che consentiva di coprire i costi del trasporto in Asia e di fare margine.

In secondo luogo, sempre a causa della minore attrattività dei prezzi asiatici, non è più così scontato che gran parte delle esportazioni di gas nordamericane prendano la via dell’Asia. Se i prezzi asiatici e quelli europei resteranno così vicini, infatti, gli operatori statunitensi potrebbero trovare più conveniente mandare una quota significativa delle esportazioni in Europa, trasformando quella che era poco più che una boutade politica in un flusso commerciale di una qualche consistenze. Nulla in grado di rimpiazzare il gas russo, ma di certo un contributo all’aumento della competitività del mercato europeo.

Sul tema, segnalo un mio articolo pubblicato dall’Osservatorio energia dell’ISPI.

Turchia: esploso il gasdotto dall’Azerbaigian

Baku-Tbilisi-Erzurum pipeline blasted (UPDATE)Secondo quanto riportato da AzerNews, un’esplosione nella provincia di Sarikamis ha interrotto oggi il gasdotto Baku-Tbilisi-Erzurum che trasporta il gas dal giacimento azerbaigiano di Shah Deniz fino alla rete turca. In un primo momento le autorità turche avevano parlato di un incidente, ma hanno poi ammesso che si è trattato di un attacco deliberato.

Secondo quanto riportato, al momento dell’esplosione la condotta sarebbe stata praticamente vuota in conseguenza di alcuni lavori di manutenzione avviati il 2 agosto su una piattaforma di Shah Deniz.

Si tratta del quarto attacco in breve tempo, dopo che nei giorni scorsi erano stati fatti esplodere il gasdotto dall’Iran, l’oleodotto dall’Iraq e una linea di trasmissione elettrica. In tutti i casi, gli attacchi sarebbero riconducibili ad azioni militari del PKK in risposta ai bombardamenti avviati dalla Turchia contro i curdi col pretesto di combattere l’ISIS.

L’impatto dell’attacco, al pari di quelli dei giorni scorsi, è  soprattutto simbolico, dato che le operazioni di ripristino sono già in corso e non dovrebbero durare più di qualche giorno. L’episodio mette tuttavia ancora una volta in evidenza la vulnerabilità delle infrastrutture energetiche turche. Un dato rilevante anche per noi, dato che il gasdotto esploso è lungo la linea destinata a trasportare in Italia il gas azerbaigiano attraverso il TANAP e il TAP.

Cosa cambia davvero con la svolta verde di Obama

Cosa cambia davvero con la svolta verde di Obama

Segnalo una mia intervista uscita oggi su Formiche.net, di cui propongo di seguito l’incipit.

Verda, il piano di Obama non accontenta tutti. Molte industrie si lamentano delle nuove misure perché dovranno sostenere costi maggiori, con la World Coal Association che minaccia di aumentare il prezzo dell’elettricità per i consumatori americani. Sono timori fondati?
Senza dubbio le industrie di carbone sono destinate a perdere quote di mercato e potrebbero decidere di colmarle così. Ma si tratta di una visione soggettiva. Perché se da un lato alcuni settori registreranno perdite, altri – come quello green – guadagneranno. Ad ogni modo un piccolo aumento di elettricità non dovrebbe essere drammatico per l’industria americana.

Però il mondo politico sembra spaccato.
Ognuno coccola il proprio elettorato. Quello democratico è dalla parte di Obama, che non a caso ha citato come unico leader mondiale Papa Francesco, facendo riferimento alla sua Enciclica, Laudato si’. Ha persino incluso una suora nel suo gruppo di lavoro. Un modo per lanciare un messaggio ai latinos. Mentre la destra repubblicana cerca di rassicurare le corporation, minacciando anche iniziative ostruzionistiche.

Il resto dell’intervista è accessibile qui.