Sussidi alle rinnovabili: una prima valutazione ex-post

A comprehensive ex‐post assessment of the Italian RES policy: deployment, jobs,   value added and import leakages - IEFESegnalo un interessante studio realizzato da Mattia Cai, Niccolò Cusumano, Arturo Lorenzoni e Federico Pontoni per IEFE, dal titolo A comprehensive ex‐post assessment of the Italian RES policy: deployment, jobs,  value added and import leakages.

Nel complesso, occorre premettere, le politiche di sussidio hanno consentito di raggiungere in anticipo – complice la crisi – livelli di penetrazione nel paniere energetico in linea con gli obiettivi UE al 2020, grazie all’erogazione di incentivi nell’ordine di grandezza dei 10 miliardi di euro all’anno.

Figure 1: Evolution of RES installed capacity in Italy

Figure 2 annual cost of incentives 2008-2018

Al di là dell’impatto sul paniere energetico, l’avvio delle politiche di sostegno alle rinnovabili è stato nondimeno accompagnato da stime di impatto (industriale, commerciale, occupazionale) molto, molto ottimistiche. Gli autori propongono una prima analisi ex-post, dati alla mano, dell’impatto dei sussidi introdotti in Italia negli ultimi decenni.

Senza sorprese per chi ha seguito il fenomeno in questi anni, ne emerge un quadro molto diverso dalle aspettative ufficiali: la maggior parte dei posti di lavoro creati appartengono al settore dei servizi e non a quello industriale e il valore aggiunto è stato molto inferiore alle previsioni a causa del saldo pesantemente negativo nel commercio con l’estero di componentistica.

Figure 3 – Demand for goods and services resulting by CIM phase of new RES plants (2011 prices)

Un GR dal futuro – La Turchia e l’approvvigionamento europeo

GR1 - 17/07/2016 - 19:00Forse grazie alle nuove risorse garantite dal canone in bolletta, la Rai manda in onda i GR del futuro. O almeno, così è parso di capire ieri sera.

Con ordine. Fallito golpe in Turchia. Analisi di rito sulle ricadute, con intervista nel corso del GR1 delle 19:00 (minuto 9:53) all’economista Giorgio Barba Navaretti. Preceduto da un’introduzione del giornalista che conduce l’edizione e fa riferimento alla strategicità della Turchia per l’Europa in quanto “corridoio di transito strategico per il gas e il petrolio verso l’Europa”. A rincarare la dose, ci pensa l’intervistatrice.

Letteralmente:

D: “La Turchia è uno degli snodi fondamentali anche per il gas e per il petrolio che arrivano in Europa. Potrebbe esserci un aumento dei prezzi a breve?”

R: “L’incertezza politica anche in questo caso può avere degli effetti sui prezzi. Se ci fossero, spero che siano degli effetti di breve periodo.
Quanto un’effettiva riduzione dei flussi di gas e di petrolio attraverso la Turchia, sono difficilmente ipotizzabili, a meno che non avvengano degli eventi politici davvero devastanti e catastrofici.”

Bene. Quindi, delle due, una: o siamo nel 2016 e il gas importato in UE attraverso la Turchia ammonta a meno di un miliardo di metri cubi (ossia lo 0,15% del gas consumato in UE), oppure ci troviamo nel 2026, quando il Corridoio meridionale del gas – l’insieme di gasdotti che porterà il gas azerbaigiano fino in Puglia, attualmente in costruzione – sarà ultimato. Allora, dovrebbe in ogni caso fornire il 2% di tutto il gas consumato in UE, ma transeat: in quel momento potrebbe perfino avere sul serio delle conseguenze per i prezzi in Sud Europa.

Quanto al petrolio, a onor del vero la Turchia è Paese di transito per l’esportazione di gran parte del petrolio azerbaigiano, per lo più diretto in UE (e soprattutto in Italia). Ma si tratta di quantità assolutamente marginali rispetto al mercato globale: 0,75 milioni di barili al giorno nel primo trimestre 2016, ossia lo 0,7% dei consumi mondiali. Non esattamente un quantitativo in grado di sbilanciare un mercato globale in eccesso strutturale di offerta.

Insomma, la Turchia non è esattamente un Paese-chiave per l’approvvigionamento europeo. Almeno, non oggi. E non fintanto che non sarà realizzato il Corridoio meridionale del gas.

INFOGRAFICA – Consumi energetici delle principali economie

INFOGRAFICA - Consumi energetici: mondoInfografica mondo – alta risoluzione INFOGRAFICA - Consumi energetici: ItaliaInfografica Italia – alta risoluzione
INFOGRAFICA - Consumi energetici: GermaniaInfografica Germania – alta risoluzione
INFOGRAFICA - Consumi energetici: FranciaInfografica Francia – alta risoluzione
INFOGRAFICA - Consumi energetici: Regno Unito

Infografica Regno Unito – alta risoluzione

INFOGRAFICA - Consumi energetici: Stati Uniti

Infografica Stati Uniti – alta risoluzione

INFOGRAFICA - Consumi energetici: Cina

Infografica Cina – alta risoluzione

INFOGRAFICA - Consumi energetici: IndiaInfografica India – alta risoluzione
INFOGRAFICA - Consumi energetici: RussiaInfografica Russia – alta risoluzione

INFOGRAFICA - Consumi energetici: Giappone

Infografica Giappone – alta risoluzione

INFOGRAFICA - Consumi energetici: Brasile

Infografica Brasile – alta risoluzione

INFOGRAFICA - Consumi energetici: Sud Africa

Infografica Sud Africa – alta risoluzione

Riserve petrolifere saudite: quanto sono grandi davvero?

Saudi Arabia's oil reserves: how big are they really? - KempSecondo un rapporto recentemente pubblicato da Rystad Energy e ripreso da FT, ci sarebbe più petrolio – contando riserve (provate, probabili e possibili) e giacimenti ancora da scoprire – negli Stati Uniti (264 Gbbl, miliardi di barili) che non in Russia (256) o in Arabia Saudita (212).

Metà delle riserve americane sarebbero formate da petrolio non convenzionale, a riprova dell’importanza dell’innovazione tecnologica nel rendere (economicamente) fattibile anche quanto prima non si considerasse come rilevante. Un qualunque grafico dei prezzi del greggio negli ultimi tre anni rende bene l’idea delle conseguenze, peraltro.

Le graduatorie sono utili a far notizia, ma nella sostanza non cambiano il dato di fatto che un terzo della produzione mondiale di petrolio si concentra in modo più o meno paritetico nei tre grandi produttori. E, date l’ordine di grandezza delle riserve di tutti e tre, è ragionevole immaginare che anche in futuro resteranno i principali produttori.

Parlando di riserve, in realtà, la questione più spinosa resta quella dell’affidabilità del dato relativo alle riserve saudite, come ha messo ben in evidenza John Kemp nel suo commento per Reuters. A partire dal 1982, dopo il completamento della nazionalizzazione di Saudi Aramco (1980), i dati relativi alla produzione e alle riserve campo per campo sono stati segretati e l’unico dato disponibile relativo alle riserve è stato quello ufficiale comunicato dal governo.

Nel corso degli anni ottanta questo dato è rimasto intorno ai 170 Gbbl, per poi passare improvvisamente – e senza spiegazioni dettagliate – a 255 Gbbl nel 1988 e 260 Gbbl nel 1989, restando da lì in avanti sostanzialmente stabili. A fine 2015 il dato era di 267 Gbbl.

Peccato che nel frattempo l’Arabia Saudita abbia prodotto 116 Gbbl, di cui 94 tra il 1989 e il 2015. Il che significa che ogni anno le riserve sono cresciute, di fatto per un aumento delle stime delle riserve nei campi esistenti, visto che grandi scoperte non sono state più fatte dopo il 1970.

La somma della produzione petrolifera e delle riserve provate saudite

L’ampliamento delle riserve, in primo luogo grazie al miglioramento tecnologico, è un dato normalissimo, sia chiaro. Ed è normale che il petrolio prodotto durante la vita utile di un giacimento sia superiore alle stime totali iniziali, anche grazie alla miglior comprensione della conformazione geologica. Quello che però lascia dubbiosi è la perfetta coincidenza numerica con cui le nuove riserve rimpiazzano la produzione.

In vista della maxi-quotazione del 5% di Saudi Aramco (valutata 2 miliardi di dollari), l’aspettativa è quella di una maggiore chiarezza circa le modalità di computo delle riserve: anche se non è chiaro quali saranno i diritti di proprietà dei nuovi soci sulle riserve saudite, almeno gioverebbe sapere a quanto ammontano davvero. E sarebbe un’ottima cosa anche per il resto del mondo, che a prescindere da chi siano gli importatori, da una maggiore trasparenza ha tutto da guadagnare.

Il settore del gas in Algeria

Ali Aissaoui - Algerian Gas: Troubling Trends, Troubled PoliciesSegnalo un interessante lavoro di Ali Aissaoui dal titolo Algerian Gas: Troubling Trends, Troubled Policies, pubblicato dall’OIES. Il rapporto ricostruisce in modo puntuale in primo luogo le tendenze dell’upstream gas algerino, in declino a causa della maturazione dei campi esistenti e di investimenti insufficienti in nuova capacità.

L’autore poi analizza le tendenze della domanda gas interna, che negli anni passati ha fatto registrare una crescita significativa e le cui prospettive future dipendono molto dalle decisioni relative alle tariffe domestiche, che dovrebbero salire per contenere la nuova domanda.

Il risultato, nel complesso, è un deficit strutturale di volumi di gas per l’esportazione, che infatti si è contratta negli ultimi anni e potrebbe contrarsi ancora nei prossimi anni.

Outlook for Production, Domestic Consumption and Exports in a Central Scenario (©OIES)Questa tendenza non è stata evidenziata in tutta la sua portata perché il principale mercato per il gas algerino, quello europeo, ha vissuto una fase di forte contrazione. Il recupero della domanda di gas importato in Europa dovrebbe tuttavia mettere in evidenza tutti i problemi algerini e la necessità di nuovi investimenti in capacità produttiva.