Le conseguenze inaspettate dello shale boom

La NASA ha recentemente pubblicato sul suo sito un’immagine notturna scattata dallo spazio (riportata anche dal FT), che illustra in modo piuttosto inquietante un’effetto indesiderato, e se vogliamo inaspettato, del recente boom del gas da scisti.

La foto mostra come l’area occidentale del North Dakota, uno degli stati meno abitati degli USA (densità 3,7 abitanti/km2 – tanto per capirci la Lombardia ha una densità di 420 ab./km2) e dove più è cresciuta negli ultimi anni l’attività estrattiva legata allo shale gas e allo shale oil (Bakken formation), sia “illuminata a giorno” a causa del gas flaring, la pratica di bruciare il gas naturale associato al petrolio che non si riesce a commercializzare economicamente.

La ragione di questo spreco (si parla del 30% del gas estratto) è semplice. Il boom dello shale ha depresso talmente tanto i prezzi del gas nel Nord America, che a molte società petrolifere non conviene realizzare i gasdotti e le altre infrastrutture necessarie a convogliare il gas verso i centri di consumo. Piuttosto che far ciò, si preferisce liberare il gas nell’atmosfera (gas venting) o bruciarlo all’uscita del pozzo. In ogni caso si verifica uno spreco e si crea una nuova e non trascurabile fonte di inquinamento.

Lungi dal voler esprimere un giudizio negatico sull’estrazione del gas da scisti, la mia intenzione qui è solo quella di sottolineare come sia spesso difficile valutare a priori i costi e i benefici di una certa attività umana a causa delle numerose “unintended consequences” che si generano.

Alcuni esperti hanno sottolineato come lo shale gas abbia permesso agli USA di ridurre il consumo di carbone nella generazione elettrica e di limitare le emissioni clima-alteranti più di quanto abbia fatto l’Europa negli ultimi 2 o 3 anni. Siamo sicuri che se si contassero le emissioni legate al gas flaring e al gas venting la bilancia sarebbe ancora positiva?

Come spesso accade, il diavolo si annida nei dettagli…

Smantellare i take-or-pay

RIE - EnergiaSergei Komlev, dirigente di Gazprom Export specializzato in prezzi e contratti, è da alcuni mesi impegnato in una vera e propria “offensiva teorica” votata a difendere lo status quo dei contratti di lungo periodo indicizzati al petrolio con clausola take-or-pay. Segnalo, per chi volesse approfondire, il paper Pricing the “Invisible” Commodity.

Come riportato oggi dalla Staffetta, in Italia l’ultimo numero di Energia ospita un articolo di Komlev. Sintetizzando molto, l’argomentazione centrale è che gli attuali prezzi spot agli hub europei sono frutto di una dinamica marginale, ossia basata sui volumi residuali rispetto alle forniture take-or-pay e che quindi non è in realtà possibile sostenere che i prezzi agli hub sono determinati da dinamiche di domanda e offerta autonome.

La conseguenza è che un meccanismo basato sempre più su prezzi agli hubs che si formano in modo ibrido sia insostenibile, tanto da portare al progressivo smantellamento dei contratti di lungo periodo.

Komlev vede nel fatto che gli hubs non trattino tutta la domanda e tutta l’offerta dei mercati europei una debolezza insanabile, che li rende di fatto ancora strettamente legati ai prezzi dei contratti di lungo periodo (assumendo – senza dimostrare – che questo sarebbe un male per i consumatori europei).

Komlev fa bene il suo lavoro, ma non convince. Il punto è che cercando di argomentare sulla dinamica di mercato, omette di affrontare il punto chiave: l’indicizzazione al petrolio non ha più ragion d’essere e distorce irrimediabilmente i fondamentali del mercato. Il fatto che l’inerzia contrattuale – nonostante i tanti arbitrati – attribuisca ancora un ruolo a questa consuetudine commerciale non è una buona ragione per mantenerla, se non per chi vende.

Qui subentra il secondo punto: il mercato è lunghissimo e la Russia si trova con un potenziale di esportazione completamente orientato verso il mercato europeo, dove la domanda langue e continuerà a languire. A correre rischi sono soprattutto gli esportatori, che si trovano a competere per vedere e che dall’indicizzazione lucrano margini che la domanda reale non giustificherebbe.

Per chiudere, un’ultima nota: superare le attuali formule di indicizzazione non significherebbe in alcun modo che i contratti di lungo periodo debbano necessariamente essere abbandonati, ma solo che sarebbe il mercato a prezzare questa soluzione, in base alla domanda dei clienti. Magari evitando di imporre ai consumatori finali strani meccanismi di assicurazione dalla dubbia utilità.

CE vs Gazprom: un’analisi

The European Commission vs. Gazprom: An Issue of Fair Competition or a Foreign Policy Quarrel? - Nicolò SartoriSegnalo un interessante paper di Nicolò Sartori dal titolo The European Commission vs. Gazprom: An Issue of Fair Competition or a Foreign Policy Quarrel?

Il lavoro ricostruisce agilmente la questione dell’indagine aperta dalla DG Concorrenza nei confronti dell’azienda di stato russa, proponendo alcune riflessioni (moderatamente ottimistiche) sulla possibile evoluzione della vicenda.

Il gas russo e la difficile via della Cina

Four reasons why Russia’s gas ambitions in China may never be realisedInteressante analisi di Julian Lee, che suggerisce come la finestra di opportunità per la Russia di esportare grandi quantità di gas in Cina si stia rapidamente chiudendo.

Quattro le ragioni:

  • non si riesce a trovare un accordo sul prezzo (i cinesi cercano di prendere i russi per disperazione e assicurarsi gas a prezzi molto bassi, ma questi ultimi al momento possono tenere la posizione);
  • aumenta la concorrenza centrasiatica (qui l’isolamento infrastrutturale imposto dalla geografia e da Gazprom rende attraenti perfino i prezzi offerti dai cinesi);
  • la produzione non convenzionale cinese è destinata a crescere;
  • aumenta la concorrenza da parte del GNL, austrialiano e non

Insomma, il governo cinese ha studiato molto bene la lezione della diversificazione come strumento di sicurezza energetica. Sul versante russo, la strategia cinese è già stata anticipata da anni e infatti i grandi investimenti in esportazione continuano a concentrarsi in Europa.

Gas, i fatti del 2012

Gas, 2012 in pillole - Gionata Picchio - AgiEnergiaGionata Picchio propone su AgiEnergia una sintetica ma completa panoramica dei principali fatti del mondo del gas naturale italiano nel 2012.

Tra le tendenze da ricordare, il calo dei consumi (nonostante il grande freddo di febbraio), i passi avanti del mercato (scorporo di Snam e assegnazione quotidiana della capacità TAP) e Gazprom protagonista su più fronti (Nord Stream, South Stream, rinegoziazioni, indagini della Commissione).

L’impatto del gas non-convenzionale

A shale gas revolution?Segnalo un interessante studio del MIT su The Influence of Shale Gas on U.S. Energy and Environmental Policy.

Lo studio compara lo scenario energetico statunitense con e senza gas da argille e valuta l’impatto del non-convenzionale sul costo dell’energia, sugli interscambi con l’estero e sui livelli di occupazione.

I risultati sono tutti largamente prevedibili e naturalmente positivi in tutti gli ambiti. I ricercatori del MIT tuttavia sottolineano che il gas da argille ha anche l’effetto di prevalere sulle rinnovabili, riducendone il peso e quindi aumentando l’impatto in termini di emissioni.

Aggiungerei, però, che non si tratta di un fatto completamente negativo: oltre al fatto che il gas spiazza in larga misura anche il carbone, il cui uso per la generazione elettrica produce più alte emissioni, restano infatti due dati essenziali.

Il primo è che posticipare l’adozione di misure eccessivamente stringenti in materia ambientale, soprattutto nell’attuale contesto macroeconomico, rappresenta un vantaggio competitivo, anche perché consente di scaricare sugli altri i costi dei limiti autoimposti.

Il secondo è che entrare più tardi massicciamente nelle rinnovabili – ossia, quando il gas sarà troppo costoso in termini comparati – consente di utilizzare direttamente le tecnologie più avanzate, scaricando sugli altri i costi rappresentati dagli investimenti già effettuati (per semplificare molto, chi dubita che i pannelli solari tra 10 anni saranno molto più efficienti e molto meno cari? Bene, noi intanto avremo i pannelli di oggi e staremo ancora paganti il V conto energia…).

 Molto su cui meditare, su questa sponda dell’Atlantico.