Il settore del gas in Algeria

Ali Aissaoui - Algerian Gas: Troubling Trends, Troubled PoliciesSegnalo un interessante lavoro di Ali Aissaoui dal titolo Algerian Gas: Troubling Trends, Troubled Policies, pubblicato dall’OIES. Il rapporto ricostruisce in modo puntuale in primo luogo le tendenze dell’upstream gas algerino, in declino a causa della maturazione dei campi esistenti e di investimenti insufficienti in nuova capacità.

L’autore poi analizza le tendenze della domanda gas interna, che negli anni passati ha fatto registrare una crescita significativa e le cui prospettive future dipendono molto dalle decisioni relative alle tariffe domestiche, che dovrebbero salire per contenere la nuova domanda.

Il risultato, nel complesso, è un deficit strutturale di volumi di gas per l’esportazione, che infatti si è contratta negli ultimi anni e potrebbe contrarsi ancora nei prossimi anni.

Outlook for Production, Domestic Consumption and Exports in a Central Scenario (©OIES)Questa tendenza non è stata evidenziata in tutta la sua portata perché il principale mercato per il gas algerino, quello europeo, ha vissuto una fase di forte contrazione. Il recupero della domanda di gas importato in Europa dovrebbe tuttavia mettere in evidenza tutti i problemi algerini e la necessità di nuovi investimenti in capacità produttiva.

Approvvigionamento italiano di gas: Russia sempre centrale

Nel 2015 la domanda di gas in Italia è finalmente tornata a crescere. Parallelamente, anche le importazioni sono tornate ad aumentare: +5,3 Gmc, passando da 54,5 a 59,8 Gmc secondi i dati MiSE. Valori ben lontani dal record storico di 75,6 Gmc del 2006, ma pur sempre una buona notizia per le compagnie che hanno in portafogli i contratti di lungo periodo e per i fornitori internazionali dell’Italia, che negli ultimi anni hanno accusato duramente la crisi della domanda.

Il gas importato, infatti, non solo domina l’offerta (90,6% dei consumi), ma è anche quello che assorbe praticamente per intero tutte le oscillazioni della domanda, in positivo e in negativo. La produzione nazionale, pur avviata lungo un declino di lungo periodo, di fatto continua al massimo, a prescindere dall’andamento del mercato.

La composizione dell’approvvigionamento italiano di gas

Per quanto riguarda l’origine delle importazioni, le forniture russe hanno continuato a dominare il mercato italiano anche nel 2015 (49% del gas importato) e sono cresciute di 3,7 Gmc, soddisfando la maggior parte della nuova domanda. In seconda posizione il gas olandese e norvegese (17%), seguito da quello algerino (12%) e da quello libico (12%). Limitato il contributo del GNL (10%), pur in forte crescita (+32%).

L’origine delle importazioni italiane di gas

Per quanto riguarda l’utilizzazione delle infrastrutture, il dato più rilevante resta quello del sotto-utilizzo del gasdotto Transmed, che trasporta il gas algerino fino in Sicilia. Nel 2013, infatti, Eni, Enel e Edison hanno rinegoziato temporaneamente le quantità da importare sulla base dei contratti di lungo periodo, posticipando il ritiro dei volumi. Resta da vedere se quando arriverà il momento di recuperare gli obblighi contrattuali la domanda italiana si sarà ripresa a sufficienza e – soprattutto – quanto l’upstream algerino sarà in grado di tenere il passo, nonostante gli investimenti esteri negli ultimi anni siano stati inferiori alle attese.

La capacità di importazione delle infrastrutture e il livello di utilizzo medio nel 2015

I rischi connessi all’approvvigionamento energetico italiano

Rischi globali e rischi regionali nel corso del 2015

L’Osservatorio di politica internazionale (Senato, Camera e MAE) ha pubblicato il rapporto preparato dall’ISPI su Rischi globali e rischi regionali nel corso del 2015. Tra gli scenari globali, si trova anche una sezione dedicata ai rischi connessi all’approvvigionamento energetico italiano, riportata qui di seguito.

“L’approvvigionamento energetico italiano presenta tre profili di rischio relativi alle dinamiche attese per il 2015, legati sia alla stabilità dei flussi di materie prime, sia alle minacce e alla competitività derivanti dai consumi energetici.

Il primo è la possibile destabilizzazione dei due grandi produttori energetici nordafricani, Algeria e Libia, che avrebbe ricadute particolarmente gravi nell’approvvigionamento nazionale di gas naturale. In caso di simultanea interruzione dei flussi, data l’assenza di altre infrastrutture di adduzione nell’area meridionale del nostro paese, l’afflusso di gas nelle regioni del Mezzogiorno presenterebbe notevoli criticità.

Il secondo rischio deriva dal permanere di basse quotazioni petrolifere (inferiori ai 50 dollari al barile) nel corso di tutto l’anno. Per molti paesi produttori, infatti, si tratta di una soglia inferiore a quella minima per mantenere in modo prolungato la stabilità sociale attraverso la spesa pubblica. In caso di destabilizzazione di uno o più dei medi produttori rilevanti, le quotazioni del greggio potrebbero risalire molto rapidamente, con grave danno per la bilancia dei pagamenti e per l’andamento dell’economia nazionale.

Il terzo rischio riguarda la competitività del sistema energetico nazionale, già gravata dalle scelte europee in tema di riduzione delle emissioni e di promozione delle rinnovabili. Se nella Conferenza delle parti di dicembre 2015 non si trovasse a livello globale un accordo ambizioso e universalmente vincolante per la riduzione delle emissioni, l’adozione unilaterale da parte dell’Ue di ulteriori obiettivi per il 2030 rischierebbe di compromettere in modo sempre più grave la competitività delle attività industriali produttive nazionali senza ricadute benefiche significative sul livello delle emissioni mondiali.”

Produttori petroliferi: chi è in affanno a 85 dollari?

Il prezzo del greggio si è attestato su valori prossimi agli 85 dollari al barile, ma se e quanto tornerà a scendere restano domande aperte. Intanto, anche a questi livelli di prezzo, la sostenibilità dei bilanci pubblici di molti produttori di greggio è ancora una questione aperta.

Segnalo due documenti in merito. Il primo è del Fondo monetario internazionale, che ha pubblicato il Regional Economic Outlook di ottobre relativo a Medio Oriente e Asia Centrale.

Ricco di dati e di proiezioni relative all’andamento delle economie delle due macroregioni, l’outlook contiene anche un’interessante tabella dedicata ai livelli di prezzo del petrolio che consentono il pareggio fiscale (fiscal breakeven) e il pareggio di bilancia corrente (external breakeven).

IMF - Oil producers fiscal and external breakeven oil pricesIl grafico per il 2014 che si ricava da questi dati  consente di vedere chiaramente chi, se le quotazioni correnti continuasserro, sarebbe in affanno. Particolarmente delicata la situazione di Yemen, Algeria, Iraq e Libia (che ha valori troppo alti per stare nel grafico).

Prezzo del greggio e punti di pareggio di alcuni Paesi produttori

Segnalo anche un secondo studio, di Deustche Bank, che sul tema del prezzo di pareggio di bilancio propone una tabella globale. Da notare come le previsioni per il 2015 siano di prezzi medi sopra i 100 dollari. A sperare nella bontà delle previsioni tedesche sono di sicuro parecchi governi.

DB - Budget breakeven pricesIntanto dai sauditi qualche segnale di inversione della tendenza sembrerebbe arrivare, ma è presto per dire cosa accadrà. Stratfor prevede un recupero ma a livelli inferiori a 100 dollari, a causa della debolezza della domanda.

Prezzi del greggio: continua la discesa

Reuters - UPDATE 2-IEA sees 2015 oil demand growth much lower, supply hitting pricesGuai in vista per i Paesi produttori la cui stabilità finanziaria dipende dalle esportazioni di greggio. E che potrebbero vedere diminuire ancora il valore della loro produzione: in questi giorni le quotazioni del Brent sono scese stabilmente sotto i 90 dollari, dopo aver toccato in giugno i 115 dollari ed essere stabilmente sopra i 100 dal 2011.

Tre le cause principali: sul lato dell’offerta, il boom del non convenzionale statunitense. Sul lato della domanda, il rallentamento della crescita globale e il dollaro forte, che penalizza tutti gli importatori (tranne quelli che stampano dollari).

Tanto che la IEA ha tagliato del 20% le proprie stime di crescita della domanda per il 2015. Il calo dei prezzi quindi non sembra essere ancora abbastanza marcato da stimolare un aumento significativo della domanda.

E nemmeno da far scattare una riduzione della produzione OPEC per stimolare una crescita dei prezzi a causa della scarsità. I Paesi del cartello sembrano infatti più impegnati a difendere i volumi di esportazione che non ad alterare i prezzi di mercato, approfittando dei costi di produzione mediamente più bassi rispetto agli altri Paesi.

La situazione potrebbe continuare fino alla soglia degli 80 dollari al barile, quando invece tagliare i volumi per aumentare i prezzi potrebbe tornare a essere profittevole per i Paesi OPEC.

Intanto però a rimetterci sarebbero soprattutto due categorie. Da un lato, i produttori con costi molto alti, come quelli statunitensi e canadesi da non convenzionale. Dall’altro, i Paesi produttori con le finanze pubbliche più a rischio.

In particolare, tra i Paesi OPEC il Venezuela è particolarmente sensibile alla questione, tanto da aver proposto di anticipare il prossimo incontro ufficiale dell’organizzazione, previsto per il 27 Novembre. Le finanze venezuelane rischiano davvero di non riuscire a reggere il colpo di una riduzione dei prezzi, soprattutto con una produzione in costante declino e con 5,2 miliardi di dollari di prestiti in scadenza nel solo mese di ottobre.

Se i sauditi sceglieranno di non reagire, lasciando scendere ancora i prezzi e rendendo strutturale il calo, i problemi potrebbero emergere anche per altri Paesi. A cominciare da Algeria e Russia, che hanno impostato i rispettivi bilanci pubblici per il 2015 sulla base di prezzi intorno ai 100 dollari. E che potrebbero trovarsi a dover fare tagli dolorosi alla propria spesa pubblica, al pari di parecchi Paesi nel Golfo.

E per noi? Dipende. L’impatto sull’Italia sarebbe positivo in quanto Paese importatore (30 miliardi di euro nel 2013), perché la riduzione dei prezzi potrebbe bilanciare il deprezzamento dell’euro rispetto al dollaro. Ma sarebbe anche potenzialmente negativo come Paese esportatore, soprattutto se la crisi dovesse indebolire la domanda di merci italiane nei Paesi del Golfo e in Russia.

I consumi di gas in Italia: andamento stagionale e importazioni

La stagione invernale è alle porte e, come ogni anno, i consumi di gas conosceranno il consueto aumento. Per comprendere rapidamente la portata del fenomeno, qualche grafico è la soluzione migliore (l’unità di misura sono i Mmc).

Andamento della domanda mensile di gas in Italia (2004-2014)In febbraio i consumi sono solitamente più del doppio di quelli di agosto. Questa variabilità è gestita attraverso due strumenti: gli stoccaggi e la modulazione delle importazioni. I quindici siti di stoccaggio italiani sono riempiti d’estate (tenendo la domanda più alta del consumo immediato) e svuotati d’inverno, aumentando l’offerta ben oltre la capacità di importazione e di produzione disponibili (e agendo di fatto come un’importazione differita).

Composizione dell’offerta mensile sul mercato italiano (2004-2014)Le direttrici di importazione sul mercato italiano sono essenzialmente quattro: Russia, Nord Europa (Olanda e Norvegia), Nord Africa (Algeria e Libia) e GNL (Qatar e altri). La Russia e il Nord Africa rappresentano la parte più importante, sia in termini di portata delle condotte, sia in termini di flussi effettivamente importati.

Negli ultimi due anni però i flussi dalla Russia hanno visto crescere il proprio ruolo, mentre i flussi nordafricani hanno perso di importanza, sia per l’instabilità in Libia, sia per una scelta coordinata con l’Algeria di ridurre temporaneamente i flussi.

Importazioni mensili italiane di gas per direttrice (2012-2014)I dati relativi alla prima decade di ottobre evidenziano un ritorno alla crescita dei flussi dalla Russia, di nuovo primi davanti ai consistenti flussi dal Nord Europa. Sempre bassi invece i volumi dal Nord Africa e in moderato recupero quelli via GNL.

Nel complesso il Nord Europa sta esprimento il massimo del potenziale, mentre la Russia conferma il proprio ruolo di asse portante della modulazione delle importazioni italiane.

Un ruolo che in caso di crisi in Ucraina dovrebbe invece almeno in parte svolgere la produzione algerina, che rappresenza la parte più consistente e affidabile dei flussi nordafricani.

Oltre che degli accordi sul fronte orientale, dunque, la priorità per il decisore politico nazionale è senza dubbio quella di garantire che la nostra “opzione B” resti affidabile. Sia dal punto di vista tecnico, sia in termini di stabilità politica.