Energia e geopolitica. Gli attori e le tendenze del prossimo decennio

ISPI - Energia e gepoliticaIl fabbisogno energetico globale si espande incessantemente e le fonti fossili continuano a dominare i consumi di tutte le grandi economie. Alla stesso tempo, le crisi che in questi anni stanno sconvolgendo alcune delle principali aree di produzione stanno inevitabilmente condizionando le scelte politiche dei governi, con conseguenze di lungo periodo.

Sul tema ho appena curato per l’ISPI una collettanea dal titolo Energia e geopolitica. Gli attori e le tendenze del prossimo decennio. Questo l’indice del volume:

Prefazione di Paolo Magri
1 – Geopolitica dell’abbondanza di Massimo Nicolazzi
2 – L’energia del futuro, tra rivoluzione americana e boom asiatico di Matteo Verda
3 – L’energia in Europa al 2030: ambiente vs competitività? di Nicolò Rossetto
4 – Cina: da produttore a importatore di Filippo Fasulo
5 – La Russia dopo la Crimea: la fine di South Stream e la proiezione verso l’Asia di Fabio Indeo
6 – L’area del Caspio nello scenario energetico contemporaneo di Carlo Frappi
7 – Il gas naturale liquefatto: evoluzione di un mercato sempre più globale di Filippo Clô
8 – Prepararsi al futuro: alcune indicazioni sulle policy per l’Europa di Matteo Verda

Il volume è scaricabile gratuitamente qui.

Accordo Usa-Cina: sul clima un’intesa di facciata

ISPI - Usa-Cina: sul clima un’intesa di facciata Come ampiamente riportato dai media, Stati Uniti e Cina hanno raggiunto un accordo sulle emissioni di CO2, definito storico. Ma a ben vedere, l’accordo tanto rilevante non è, come spiega bene questa analisi dell’ISPI, di cui riporto uno dei passaggi centrali.

Che valore ha davvero l’accordo sul clima?
Nonostante l’enfasi posta sull’intesa tra Obama e Xi, l’analisi dei dati ci dà un’interpretazione differente sul suo reale impatto. L’incongruità degli obiettivi definiti dai due paesi – dal lato americano si fa riferimento ai livelli di CO2, da quello cinese si parla maggiormente della struttura energetica – rivela come l’accordo sia stato costruito su elementi già noti.

Infatti, se si osservano le previsioni della crescita del nucleare e delle rinnovabili e gli obiettivi di riduzione del carbone nella struttura energetica cinese emerge come fosse già nei piani di Pechino l’aumento della quota di produzione di energia da combustibili non fossili, nello specifico circa il 10% dal nucleare e l’11-12% dalle fonti rinnovabili,  ovvero proprio quel 20% che è stato incluso nell’accordo.

Inoltre, già da tempo gli esperti si aspettano che la quota di fonti rinnovabili e nucleare venga ulteriormente aumentata nel Tredicesimo piano quinquennale che sarà in vigore nel 2016-2020. Ciò detto, la Cina non ha di fatto dovuto modificare alcunché della proprio politica energetica per aderire all’accordo con gli Stati Uniti, e anzi si è mantenuta su stime di cautela.

Il resto dell’analisi è disponibile qui.

Le sanzioni colpiscono l’upstream russo nell’Artico

FT - Exxon winds down Russian Arctic drilling campaignLa multinazionale petrolifera per eccellenza, ExxonMobil, ha dovuto interrompere le operazioni di perforazione nell’Artico russo a causa delle nuove sanzioni statunitensi. In particolare, Exxon ha bloccato i lavori della piattaforma West Alpha nel campo Universitetskaya-1, iniziati ad agosto.

Exxon è impegnata in un programma di investimenti da 700 milioni di dollari per l’espansione della produzione artica di cui fanno parte i lavori interrotti, nel quadro di una joint-venture con Rosneft da 3,2 miliardi di dollari.

Le sanzioni statunitensi iniziano così a fare male, anche se a breve termine gli effetti sono limitati. Di qui al 2020, però, il mancato sviluppo delle riserve artiche potrebbe costare alla Russia fino al 20% della propria produzione. Forse le stime sono un po’ alte, ma la tendenza è chiara.

Nel 2013 la Russia è stata il secondo produttore mondiale (12% del totale), con 10,8 milioni di barili, 700 mila meno dei sauditi ma 800 mila più degli statunitensi. Con 325 miliardi di export, il petrolio e i suoi derivati pesano per il 62% degli attivi di bilancia commerciale per Mosca.

Molto più dei 53 miliardi di dollari di gas che Gazprom dichiara di aver venduto fuori dall’ex-Urss nel 2013. Il gas però sembra una partita alquanto diversa.

Con le sanzioni, a rischio potrebbe esserci anche la tempistica dello sviluppo di Yamal LNG, l’investimento da 27 miliardi di dollari per un terminale di liquefazione da circa 22 Gmc/a sviluppato da una joint-venture tra Total, Novatek e China National Petroleum Corporation.

La storia in questo caso potrebbe però essere diversa: a limitare gli effetti delle sanzioni finanziarie potrebbero però arrivare capitali russi per 2.6-3.9 miliardi di dollari. A cui si aggiungerebbero, secondo le stime di Novatek, 20 miliardi di dollari della China Development Bank Corporation.

E i Paesi asiatici potrebbero giocare un ruolo anche nel fornire tecnologia per le attività di trivellazione: Igor Sechin in un’intervista a Der Spiegel ha ricordato che se i produttori tedeschi non vorranno fornire macchinari ai clienti russi, questi si rivolgeranno ai fornitori coreani e cinesi. Una boutade, ma non priva di fondamento.

La diversità tra i progetti di liquefazione del gas e quelli di trivellazione artica è in larga parte dovuta al diverso livello di complessità delle operazioni, per il momento possibili solo per i colossi occidentali. Tuttavia, anche se richiederà anni, l’avanzamento tecnologico asiatico è solo questione di tempo e di opportunità.

Opportunità che l’Occidente sembra offrire a ripetizione, noncurante delle conseguenze future delle scelte attuali.

Risorse non convenzionali: la questione dell’acqua

WRI - Global Shale Gas Development: Water Availability & Business RisksProdurre idrocarburi non convenzionali richiede enormi quantità d’acqua. Buona parte delle riserve di non convenzionale sono situate in aree dove l’acqua in realtà scarseggia. Di conseguenza, buona parte delle riserve mondiali non convenzionali sarà molto difficile da sviluppare su vasta scala in tempi rapidi.

Questo, in estrema sintesi, il contenuto di uno studio molto interessante pubblicato dal World Resources Institute con il titolo Global Shale Gas Development: Water Availability & Business Risks, ripreso anche da SQ.

Ben strutturato e approfondito, lo studio analizza l’utilizzo dell’acqua nelle tecniche di sfruttamento delle riserve di idrocaburi in giacimenti non convenzionali. Inoltre, incrocia i dati sulla presenza di riserve non convenzionali coi dati relativi alla disponibilità d’acqua. In appendice, è anche presente un’analisi regione per regione dei Paesi con le riserve più consistenti di gas da argille.

Cattive notizie? Un po’ per tutti, ma per due Paesi in particolare: Algeria e Cina. L’Algeria è più o meno tutta arida e con una popolazione in crescita, con conseguenze facilmente intuibili. Nel caso della Cina, invece, le riserve o sono collocate in aree aride (ovest) o sono in aree densamente popolate con andamento idrico discontinuo.

Sia per l’Algeria sia per la Cina, insomma, le stime di produzione da non convenzionale potrebbero essere ottimistiche, almeno fintanto che non saranno sviluppate tecniche a minor consumo idrico. In altre parole, con certezza in nessuno dei due Paesi avremo un boom del non convenzionale, almeno nel breve-medio periodo.

Le sanzioni spingono la Russia verso la Cina, ma l’Europa sta a guardare

FT - Sanctions help Russia overcome its China paranoiaLe sanzioni alla Russia decise dagli Stati Uniti e appoggiate senza entusiasmo dai governi europei continuano a fare danni, senza sortire effetti particolarmente positivi sul terrreno.

Come noto, le nuove sanzioni colpiscono gli operatori russi dell’energia a livello finanziario, riducendo drasticamente le loro possibilità di ricevere finanziamenti dagli istituti finanziari occidentali. Nessuna restrizione invece sui flussi di esportazione, troppo importanti sia per la Russia sia per i Paesi europei perché entrino nel gioco delle sanzioni.

Eppure, qualche conseguenza strutturale le sanzioni la stanno avendo. E si tratta di cattive notizie per l’Occidente, forse persino più che per la Russia. Limitato nella cooperazione coi tradizionali partners europei, il governo di Mosca si rivolge sempre di più a quello di Pechino.

Sebbene le notizie abbiano un timing e alcuni dettagli che sanno di propaganda, resta il fatto che il settore energetico russo si sta legando sempre di più alle controparti cinesi. Alla base certamente c’è un dato geografico: il mercato più vicino alle riserve della Siberia orientale è la Cina. Ma non è un dato determinante, soprattutto per il petrolio (in fondo anche l’Ucraina è più vicina della Germania).

E non si tratta di una novità di questi mesi: i cinesi hanno comprato una quota di Udmurtneft (2006), finanziato Transneft (2009), sono entrati in Yamal (2013). E naturalmente hanno siglato a maggio un accordo trentennale con Gazprom per il gas siberiano.

Ora è arrivata l’offerta russa di ingresso cinese in Vankorneft, una controllata di Rosneft che opera una serie di campi in Siberia orientale. L’eventuale accordo con CNPC avrebbe però un chiaro elemento di novità: Vancor ha un portafoglio di campi onshore, che non comportano particolari rischi o sfide tecnologiche. Insomma, a differenza di tutti gli altri casi di ingresso straniero nell’upstream russo, l’ingresso straniero non riguarderebbe campi marginali o tecnologicamente problematici.

Un trattamento di favore riservato al governo cinese, che potrebbe precludere all’annuncio di ulteriori iniezioni di capitali cinesi, magari sotto forma di prestiti a tasso agevolato coperti da contratti di fornitura di lungo periodo. Indispendabili per compensare gli effetti delle sanzioni e per dare un segnale chiaro ai governi, agli istituti finanziari e alle imprese occidentali, che nel frattempo continuano a perdere importanti occasioni di investimento. Con conseguenze che si trascineranno per decenni.

Cina: dimezzate le stime della produzione di gas da argille

Reuters - UPDATE 1-China finds shale gas challenging, halves 2020 output targetSecondo quanto riportato da Reuters, il governo cinese avrebbe rivisto al ribasso le stime di produzione di gas da argille (shale gas) al 2020. La produzione interna dovrebbe raggiungere i 30 Gmc, invece dei 60 previsti.

A marzo si parlava addirittura di 100 Gmc, ma sono evidentamente emerse difficoltà tecniche e si sta facnedo largo la consapevolezza dell’eccezionalità del caso statunitense. E poi si sa: gli obiettivi dei piani comunisti sono notoriamente “flessibili”.

Anche il nuovo livello di 30 Gmc è tutto sommato ottimistico, considerando che nel 2013 la produzione di gas da argille è stata di 0,2 Gmc. A questi si sono aggiunti 6 Gmc di gas naturale in carbone (coal bed methane) e circa 110 Gmc di gas naturale da giacimenti convenzionali.

Nonostante gli operatori cinesi non badino a spese e Sinopec arrivi a prevedere un costo iniziale a pozzo pari a quattro volte quello dei pozzi statunitensi più economici, i risultati per il momento non sembrano esserci. E occorreranno molti sforzi anche solo per arrivare al livello di 6,5 Gmc previsto dai piani ufficiali per il 2015.

Il livello di 30 Gmc di gas da argille previsto al 2020 è in ogni caso in linea con le previsioni IEA, pari a circa 25 Gmc. A questi si dovrebbero aggiungere circa 20 Gmc di gas in carbone e un circa 130 Gcm da convenzionale.

Il governo di Pechino pone molta fiducia nelle enormi riserve non convezionali di gas da argille (circa 30.000 Gmc tecnicamente recuperabili) per soddisfare almeno in parte l’aumento dei consumi interni, che secondo la IEA dovrebbero arrivare a superare i 300 Gmc nel 2020 e i 460 nel 2030.

È tuttavia probabile che il gas non convenzionale giocherà un ruolo decisivo soprattutto nel prossimo decennio, quando gli operatori cinesi avranno più esperienza e tecnologie più mature. Intanto però saggiamente proseguono i preparativi per aumentare la capacità di importazione e la diversificazione delle fonti, dall’Asia centrale alla Russia, dalla Birmania al GNL.

Aggiornamento: segnalo anche questo articolo dell’Economist sulla questione.