Il sistema cinese alla sfida del non convenzionale

FT - China set to miss targets for shale gasfield developmentSecondo quanto riportato dal FT, il governo cinese non riuscirà a garantire i livelli di produzione di gas non convenzionale annunciati per il 2015. Si trattava peraltro di livelli tutto sommato contenuti: 6,5 miliardi di metri cubi (Gmc), 2% dei consumi cinesi (statistiche ufficiali, giova ricordare).

La prima ragione del fallimento annunciato è la carenza di tecnologia e soprattutto di capacità operative da parte delle compagnie cinesi. Un secondo fattore sarebbe amministrativo, data la difficoltà di gestire le autorizzazioni per le condotte.

Un terzo fattore è poi direttamente collegato alla natura dello stato cinese: i prezzi del gas sono stabiliti per decreto e sono stati molto bassi negli ultimi anni. Ora è stato annunciato un aumento per i clienti non residenziali del 15%, ma è troppo tardi rispetto ai tempi di sviluppo (inoltre, possono variare arbitrariamente in futuro, anche in base agli obiettivi di inflazione).

Nel 2012 la Cina ha prodotto 0,5 Gmc di gas non convenzionale e un aumento a 6,5 Gmc in due anni appare difficile. Le difficoltà attuali gettano un’ombra sulle reali possibilità dell’economia cinese di raggiungere gli ambiziosi livelli previsti per i prossimi decenni.

INGRANDISCI - Composizione della produzione cinese di gas al 2035 (fonte IEA)Secondo i dati IEA, nel 2035 la produzione non convenzionale cinese dovrebbe arrivare a circa 235 Gmc, di cui 115 di gas associato al carbone, 95 di gas da argille, 25 di gas da sabbie compatte, coprendo oltre il 40% del fabbisogno cinese previsto (544 Gmc). Tenendo sempre a mente che si tratta di stime a oltre 20 anni, sono in ogni caso dati molto alti.

Non si può fare a meno di pensare che un tale aumento della produzione sarà di difficile gestione senza riforme diffuse nel Paese. Più in generale, sembra che anche sul fronte energetico inizino a emergere segnali di una crescente difficoltà a mantenere la competitività del sistema economico senza un superamento dell’attuale sistema politico, che per ragioni organizzative (burocrazie sovrapposte) e simboliche (la legittimità del sistema resta basata sul Partito Comunista). Superamento tutt’altro che facile, naturalmente.

Il gas russo e la difficile via della Cina

Four reasons why Russia’s gas ambitions in China may never be realisedInteressante analisi di Julian Lee, che suggerisce come la finestra di opportunità per la Russia di esportare grandi quantità di gas in Cina si stia rapidamente chiudendo.

Quattro le ragioni:

  • non si riesce a trovare un accordo sul prezzo (i cinesi cercano di prendere i russi per disperazione e assicurarsi gas a prezzi molto bassi, ma questi ultimi al momento possono tenere la posizione);
  • aumenta la concorrenza centrasiatica (qui l’isolamento infrastrutturale imposto dalla geografia e da Gazprom rende attraenti perfino i prezzi offerti dai cinesi);
  • la produzione non convenzionale cinese è destinata a crescere;
  • aumenta la concorrenza da parte del GNL, austrialiano e non

Insomma, il governo cinese ha studiato molto bene la lezione della diversificazione come strumento di sicurezza energetica. Sul versante russo, la strategia cinese è già stata anticipata da anni e infatti i grandi investimenti in esportazione continuano a concentrarsi in Europa.

Geopolitica dell’energia – Consumi e dipendenza

Matteo Verda – Consumi di energia primaria e livello di dipendenza delle principali economie (dati BP)Le grandi economie mondiali sono caratterizzate da consumi e da livelli di dipendenza dalle importazioni eterogenei, con implicazioni di sicurezza energetica piuttosto diverse.

Secondo di dati riportati dal BP Statistical review of world energy 2012, nel 2011 il consumo di energia primaria mondiale è stato di 12.275 Mtep. La Cina è stata il primo consumatore mondiale (2.613 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio consumate), seguita da USA (2.269 Mtpe), UE (1.691 Mtep), Russisa (686 Mtep), India (559 Mtep), Giappone (478 Mtpe), Brasile (267 Mtpe).

La quota combinata di USA e UE è stata del 36%, in forte diminuzione rispetto a dieci anni prima, quando era stata del 43%. Parallelamente, i consumi cinesi sono più che raddoppiati e la loro quota sul totale mondiale è passata dall’11% al 21%, a testimoniare la veloce redistribuzione geografica dell’attività manifatturiera ed economica in generale.

Per quanto concerne il livello di dipendenza, inteso come il contributo delle materie prime energetiche importate sul totale del consumo di energia primaria, la graduatoria vede invece al primo posto il Giappone (87%), UE (56%), India (37%), USA (20%), Brasile (10%), Cina (6%). Tra le grandi economie mondiali, l’unico paese esportatore è la Russia, che nel 2011 ha ceduto sui mercati internazionali 606 Mtep, pari al 47% di quanto prodotto (e all’88% di quanto consumato internamente).

Il dato del livello di dipendenza dalle importazioni rappresenta un possibile punto di partenza per analizzare la sicurezza energetica di un Paese, ma deve essere completato dal dato relativo alla composizione del paniere energetico e dalla struttura dell’approvvigionamento energetico. Questi temi saranno affrontati in un altro post.

Per approfondire: database.

La guerra dei pannelli nel Pacifico

FT - China looks to sidestep solar tariffsSecondo quanto riportato da FT, cresce la tensione tra Stati Uniti e Cina sui pannelli solari. Il Dipartimento del Commercio ha infatti proposto una barriera tariffaria contro le celle prodotte in Cina, in seguito alle proteste dei produttori attivi in America, come la tedesca SolarWorld. La tariffa sulle celle cinesi salirebbe al 250%, contro il 31% praticato agli altri produttori asiatici.

I principali produttori cinesi si sarebbero però già organizzati per aggirare la barriera: la tariffa interessa infatti solamente le celle e non i pannelli assemblati. Sfruttando l’eccesso di capacità produttiva a Taiwan e in Corea del Sud, tre imprese (Suntech Power, Trina Solar e Yingli Green Energy) sarebbero intenzionate ad importare le celle in Cina, assemblarle nei pannelli e riesportare sul mercato statunitense con una tariffa del 31%.

Questa operazione ridurrebbe l’efficacia delle tariffe, restando però un bel regalo agli alleati statunitensi nel Pacifico.

 

South Stream avanza, sulla carta

South StreamNelle dichiarazioni di Gazprom, il progetto South Stream avanza a grandi passi. Il 13 aprile scorso si è tenuta a Mosca la prima riunione del consiglio di amministrazione del consorzio, presenti Paolo Scaroni (Eni), Henri Proglio (EDF), Harald Schwager (BASF), Alexey Miller e Alexander Medvedev (Gazprom), oltre al nuovo presidente Henning Voscherau, un altro politico tedesco (Gerhard Schröder, passato a Nord Stream) dimostratosi molto felice di passare alle dipendenze dirette dell’impresa di Stato russa. La vicenda è ripresa da Vitus Bering, che la inquadra nel contesto della vicenda South Stream.

Ho già affrontato il tema dell’assenza di domanda sufficiente a dare un senso economico alla realizzazione a breve di South Stream e il peggioramento della situazione in Europa ha se possibile rafforzato di dubbi sul fatto che per tutto quel gas (60 Gmc da South Stream, più 27,5 da Nord Stream II) ci sia mercato in Europa.

Per quanto riguarda invece la competizione con gli altri progetti sul corridoio Sud, quello che arrivano in UE attraverso i Balcani, i due progetti effettivamente in lizza – e sarebbe giusto che anche il Corrado Passera ne prendesse atto – sono TAP e SEEP, riforniti da Shah Deniz II (Azerbaigian), in continuo progresso. Più che rientrare in una strategia delle istituzioni europee, invero parecchio a corto di legittimità e di cartucce, questi progetti sono un tentativo dei competitors delle imprese coinvolte in South Stream di aumentare la competitività dei mercati finali, erodendo quote di mercato agli incumbents (leggi ex-monopolisti).

South Stream appare così soprattutto come un’operazione di chi, come Eni, cerca di mantenere il più possibile invariati gli equilibrî sui mercati finali. Nel caso italiano, infatti, l’arrivo di TAP consentirebbe ad imprese diverse da Eni di rifornire via tubo il mercato italiano escludendo completamente dal midstream il campione nazionale, avendo la possibilità di competere sul prezzo, a tutto vantaggio dei consumatori finali.

Sul fronte russo, i 10 Gmc di TAP – o SEEP, se l’Italia uscirà sconfitta – non sono tali da impensierire veramente Gazprom, che in UE ne esporta quasi 120 Gmc già oggi, e al massimo possono rallentare South Stream, quando emergeranno prospettive economiche sufficienti a giustificare l’investimento. Per i russi, il progresso di South Stream è dunque sostanzialmente un posizionamento cartaceo, in attesa di capire se la ripresa dei consumi ci sarà e quando. Per di più, la rete infrastrutturale russa si è sviluppata nel corso dei decenni e un’accelerazione proprio ora non sembra plausibile.

Un’ultima considerazione sulla competizione cinese: in realtà, i giacimenti della Siberia orientale che servirebbero a servire il mercato cinese sono in gran parte diversi da quelli, più occidentali, che servirebbero a sostenere i nuovi flussi verso l’Europa. Esiste invece una possibile sovrapposizione soprattutto su un’eventuale riesportazione di gas centroasiatico, ma non tale da precludere alcun progetto, allo stato attuale.

La competizione euro-cinese per il gas russo è invece in gran parte sulla priorità dell’allocazione degli investimenti. Sebbene una logica di differenziazione suggerirebbe di guardare a Est, tuttavia per Gazprom i clienti europei restano al momento gli unici in grado di garantire alti prezzi e il rispetto del diritto e dei contratti, mentre i cinesi hanno già tentato di ottenere prezzi molto inferiori a quelli europei e non offrono grandi garanzie di affidabilità in caso di contenzioso. Lo sviluppo orientale di Gazprom senza dubbio ci sarà (soprattutto su altri clienti asiatici), ma in ultima analisi le dinamiche del rapporto con l’Europa sono destinate a rimanere endogene, almeno nel corso del decennio.