INFOGRAFICA – Consumi energetici delle principali economie

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Eurogas: nel 2014 consumi UE -11%

Consumi di gas naturale in Europa nel 2014

Secondo i dati riportati da Eurogas, nel 2014 in UE si sono consumati 409 Gmc di gas, con una contrazione dell’11% rispetto al 2013. In totale, i minori consumi sono stati di 51 Gmc: per avere un’idea, è come se l’intera Francia avesse smesso di usare gas.

Nello spazio europeo in senso lato, la Turchia è invece l’unica grande economia ad aver fatto registrare una aumento dei consumi.

Variazione dei consumi di gas naturale in Europa (2014-2013, miliardi di metri cubi)

La contrazione maggiore si è registrata nei grandi mercati, Germania in testa. A causare la riduzione dei consumi ha contribuito soprattutto il clima particolarmente mite nel primo trimestre, che nel Nord Europa ha portato a un crollo verticale della domanda per il riscaldamento.

La riduzione della domanda ha poi interessato anche la generazione termoelettrica, schiacciata tra le rinnovabili sussidiate da una parte e il carbone a basso costo (sia come materia prima, sia come prezzo dei permessi di emissione) dall’altra.

Anche la difficile situazione economica ha contribuito alla riduzione della domanda, anche se i consumi di gas nel settore industriale sono aumentati in alcuni Paesi, in particolare in Germania. In Italia sono invece rimasti sostanzialmente invariati.

Variazione dei consumi di gas naturale in Europa (2014-2013, percentuale)

Nel complesso, i dati Eurogas tracciano il quadro di una domanda europea debole, il cui recupero dipende da due ordini di fattori. Dal punto di vista congiunturale, le temperature più rigide hanno già fatto riprendere i consumi per riscaldamento nei primi mesi del 2015, mentre per un aumento dei consumi legato alla ripresa economica occorrerà attendere.

Dal punto di vista strutturale, sarà determinante quanto le politiche a livello europeo porteranno a un aggiustamento degli strumenti impiegati per ridurre le emissioni climalteranti. Se il focus delle nuove misure al 2030 passerà effettivamente dal sussidio delle rinnovabili a una maggiore attenzione per il prezzo del emissioni, il gas naturale nelle generazione elettrica potrebbe tornare a crescere in misura significativa, recuperando almeno in parte il terreno perduto.

Fino ad allora, non ci sarà un gran bisogno di nuove infrastrutture di importazione: quelle esistenti e in costruzione bastano e avanzano. Basta pensare che nel 2010, con meno infrastrutture di oggi, le importazioni erano circa 80 Gmc più alte.

Il momento di attuale eccesso di offerta potrebbe invece essere sfruttato al meglio spingendo per un aumento delle interconnessioni tra le reti europee, per mettere meglio in competizione tra loro i fornitori e aumentare l’efficienza del sistema. La comunicazione sull’Unione dell’energia ne ha parlato: vedremo quanti fatti seguiranno alle parole.

Privatizzazioni Enel e Eni? Un processo inarrestabile

La Repubblica - Privatizzazioni, lo Stato si stacca dai colossi Eni ed EnelLe necessità finanziarie della Repubblica sono note e l’autunno si preannuncia caldo. Tra le misure che il governo metterà in campo per fare cassa è attesa anche la vendita sul mercato di un ulteriore 5% della partecipazione pubblica in Eni ed Enel.

A oggi, la partecipazione di Eni pesa per il 30,1% del capitale, divisa tra Ministero dell’economia (4,34%) e CDP (25,76%). Considerando che la capitalizzazione di Eni è di 69 miliardi, la dismissione varebbe tra i 3 e i 3,5 miliardi.

La partecipazione in Enel pesa invece per il 31,24% del capitale, tutta a controllo diretto del Ministero. Considerando che la capitalizzazione di Enel è di circa 38 miliardi, la dismissione varrebbe circa tra 1,5 e 2 miliardi.

Nel complesso, l’intera operazione dovrebbe portare nelle casse pubbliche circa 5 miliardi di euro, che si affiancherannno ai 2 miliardi arrivati per la partecipazione cinese in CDP Reti, secondo un progetto più volte ribadito dal ministro Padoan.

Dal punto di vista delle imprese, in realtà cambia poco, perché lo Stato resterà in ogni caso sempre l’azionista di riferimento.  Giova anche ricordare che a portare sempre più fuori dall’Italia gli interessi delle due multinazionali in realtà non è la composizione dell’azionariato, ma la necessità di investire e crescere sui mercati internazionali per restare competitivi. Anche senza considerare la crisi economica, il mercato italiano è comunque troppo piccolo.

Discorso in parte diverso vale per le reti, che per quanto si espandano all’estero, restano necessariamente centrate sul nostro Paese. E che strutturalmente rappresentano il punto più vulnerabile del sistema energetico nazionale, quello in cui l’aspetto di servizio pubblico resta più forte. E su cui il decisore politico a ragione si sta concentrando maggiormente (la questione partecipazione vs regolazione è poi un altro capitolo, ma lasciamolo da parte).

Siamo in ogni caso di fronte a uno storico cambiamento di paradigma: dopo decenni in cui in Italia Eni e Enel sono stati sinonimi di politica energetica, ora i pronfondi cambiamenti tecnologici, economici e istituzionali degli ultimi venti anni stanno portando a un’inevitabile biforcazione.

Da un lato Eni e Enel, un tempo attori e strumenti della politica, ora sempre più multinazionali private orientate al profitto come tutte le altre. E dalle quali il governo come azionista può tranquillamente uscire. Dall’altro lato la politica energetica, orientata alla salvaguardia della sicurezza nazionale e degli altri obiettivi scelti dal decisore, dalla riduzione delle emissioni alle condizioni di accesso per gli indigenti.

Per il decisore, le sfide a cui guardare sono due. A livello nazionale, quella di accelerare il processo di dismissione nelle partecipazioni a livello locale, che hanno completamente perso la loro ragion d’essere, ossia lo sviluppo delle reti locali, e che ora galleggiano o sono in perdita, afflitte da nanismo e in molti casi da ingerenze politiche.

A livello europeo, la sfida è invece quella di svolgere un ruolo più attivo nell’integrazione delle politiche energetiche europee, allo scopo di promuovere gli interessi del sistema produttivo italiano e di tutelare la sicurezza energetica nazionale. Pena, lasciare che la politica energetica e gli interessi di qualcun altro si travestano da politica europea.

Germania: garanzie pubbliche a E.ON per il GNL

Reuters - Germany gives E.ON credit guarantees to strike LNG deals - sourceSecondo quanto riportato da Reuters, E.ON potrebbe aumentare il ricorso alle garanzie pubbliche sul credito per stipulare nuovi contratti di fornitura di lungo periodo di GNL.

L’anno scorso il parlamento tedesco aveva già approvato la concessione di garanzie per 2 miliardi di euro a favore di E.ON per acquistare forniture ventennali dal terminale canadese di Goldboro. La garanzia è stata approvata sotto forma di Untied Loan Guarantee federale e sarà effettivamente attiva solo dopo la decisione finale di investimento, attesa per il 2015.

La garanzia permette a E.ON di alzare il rating da A- a AAA, abbassando il costo del capitale di 1-2 punti percentuali. La garanzia del governo favorisce inoltre la cooperazione con gli esportatori, che preferiscono trattare con aziende che godono di copertura politica esplicita, come dimostrato dalla francese EDF.

In cambio della garanzia, E.ON si impegna a portare una quota del GNL acquistato direttamente sul mercato tedesco. Nel caso di Goldboro, la quota è del 30%. E.ON starebbe ora guardando a Mozambico, Israele e Sud America per ulteriori acquisti.

Considerando che la Germania non dispone di terminali di rigassificazione, nemmeno in progettazione, il ricorso ai terminali di altri Paesi europei appare inevitabile. Si tratta di una buona notizia, perché il livello di integrazione del sistema gas europeo è destinato a crescere. Ma anche di una cattiva notizia, visto che l’assenza di un coordinamento a livello europeo spinge sempre di più nella direzione di un sistema infrastrutturale germano-centrico, rispetto al quale l’Italia è solo una periferia secondaria.

L’Airbus (tedesca) dell’energia

Le Figaro - Alstom vote General Electric, Siemens contre-attaqueSi starebbe profilando all’orizzonte l’Airbus dell’energia paventato qualche tempo fa dal presidente Hollande senza grandi riscontri dalla controparte tedesca. Si tratterebbe della cessione da parte di Alstom delle attività industriali nel comparto energia alla tedesca Siemens.

Procediamo con ordine. Alstom è un colosso industriale francese interamente privato con due grandi linee di attività: i trasporti, sopratttutto su rotaia, e l’energia, con una specializzazione nella costruzione di centrali a gas e idroelettiche e del trasporto elettrico.

A causa della crisi, Alstom è diventata un obiettivo per acquisizioni internazionali. A farsi avanti è stata General Electric, la multinazionale statunitense con importanti attività nel settore energia, tra cui una leadership nel settore delle turbine a gas (vedi alla voce Nuovo Pignone). GE comprerebbe tutto il settore energia, versando circa 10 miliardi di euro.

Qualche giorno fa è arrivata la controproposta di Siemes, il colosso tedesco con diverse linee di attività, tra cui l’energia e i trasporti. I tedeschi rileverebbero tutte le attività relative all’energia, cedendo al contempo ad Alstom le proprie attività nel settore ferroviario. In questo modo si creerebbero non uno, ma due Airbus: uno dell’industria energetica, l’altro dell’industria ferroviaria.

La decisione è attesa per la mattina del 30 aprile ed è particolarmente difficile. Non solo perché Alstom ha importanti attività nell’industria nucleare, che in ogni caso potrebbero essere cedute a EDF o Areva in quanto strategiche. Ma anche perché in teoria il governo francese non ha margine di decisione, in quanto privo di partecipazioni azionarie nell’azienda (l’azionista di maggioranza è invece Bouygues).

Nel complesso, la scelta di GE sembra essere premiata sia dai mercati sia dalla logica industriale (le attività di GE e Alstom sono più complementari di quelle Siemens e Alstom) e sarebbe al momento preferita da Alstom. Le pressioni politiche su Hollande sono però molto forti e il presidente potrebbe cercare di influenzare indirettamente Alstom e Bouygues, a cominciare dalla questione delle commesse pubbliche.

Un punto però sembra chiaro: le attività industriali nel settore energia di Alstom saranno vendute e i vertici aziendali hanno tutto l’interesse a far salire l’offerta di GE. Se vincesse l’ipotesi-Siemens, tuttavia, ancora una volta i potenziali investitori internazionali vedrebbero saltare un progetto in Francia a causa dell’ingerenza del governo (v. Enel). E il nuovo “Airbus dell’energia” sarebbe un purosangue tedesco, con buona pace dell’Eliseo.

Asse franco-tedesco dell’energia, nulla di fatto

"Le Point sur" : le Conseil des ministres franco-allemand Alla fine era solo una boutade. A un mese dalla proposta in pompa magna di Hollande di creare un Airbus dell’energia, per guidare la transizione energetica con ferma mano pubblica, l’ipotesi sembra essersi sgonfiata.

La proposta aveva fatto sollevare parecchi dubbi, sia perché non si capiva bene chi dovesse fondersi con chi per creare il pachiderma, sia perché l’annuncio era stato inopinatamente unilaterale.

Si attendeva il consiglio dei ministri congiunto di mercoledì per capire se i tedeschi ne sapessero qualcosa e, se sì, se fossero favorevoli. A leggere le dichiarazioni, niente di rilevante: la proposta francese è decisamente caduta nel vuoto.

Insomma, sembra che Hollande abbia fatto l’annuncio per dare qualche contenuto in più a una conferenza stampa più attesa del solito, viste le sue recenti scorribande in moto.

Al netto del risultato, resta il fatto che quando si parla di cooperazione industriale, l’Italia continua a non essere un partner rilevante, nemmeno per le boutades.