Settore energetico e politica commerciale europea

Trade and investments in energy in the context of the EU common commercial policySegnalo uno studio dal titolo Trade and investments in energy in the context of the EU common commercial policy, a cui hanno partecipato Antonino Alì, Marco PertileNicolò Rossetto, Chiara Sisler, Paolo Turrini e che ho coordinato per la commissione commercio internazionale del Parlamento Europeo.

Per un’economia come quella europea, sempre più dipendente dalle importazioni di materie prime energetiche nonostante la diffusione delle rinnovabili, l’accesso a mercati internazionali aperti e stabili è una priorità per garantire la propria sicurezza energetica.

Lo studio fornisce una sintesi e una valutazione del quadro legale a livello europeo in materia di commercio e investimenti nel settore energetico. In particolare, analizza il dualismo tra politica energetica e politica commerciale, la rilevanza delle disposizioni WTO e WTO+ in materia di dazi e più in generale di attività economiche connesse all’energia. Inoltre, lo studio analizza inoltre la rilevanza dei trattati bilaterali siglati dall’UE, sopratutto dopo il Trattato di Lisbona, e degli accordi globali siglati con Georgia, Moldavia e Ucraina.

Quattro priorità d’azione per l’Europa

ISPI - Energia e geopoliticaNelle conclusioni della collettanea Energia e geopolitica. Gli attori e le tendenze del prossimo decennio ho proposto quattro indicazioni generali, che prendono spunto dalle analisi dei diversi capitoli e che possono servire a valutare l’adeguatezza delle politiche energetiche europee, attuali e proposte.

Aumentare l’efficienza energetica
La prima priorità d’azione è quella di aumentare costantemente l’efficienza energetica, ossia di ridurre i consumi energetici a parità di lavoro svolto. Per un insieme di economie importatrici come quelle europee, la riduzione del fabbisogno è un elemento importante per abbassare i costi di produzione e dunque aumentare la competitività.
Aumentare l’efficienza significa anche ridurre la vulnerabilità rispetto ai problemi di approvvigionamento, perché in caso di indisponibilità di un fornitore i volumi da rimpiazzare sono minori. Inoltre, dato ancora più importante, le variazioni nelle quotazioni di gas e petrolio incidono di meno sui processi economici.
I decisori politici dovrebbero dunque promuovere in modo prevedibile e progressivo gli aumenti di efficienza, anche quando le contrazioni dei prezzi dell’energia riducono lo stimolo per gli attori economici a contenere i costi e l’adozione di misure normative vincolanti rappresenta l’unica alternativa.
Nel caso europeo, l’efficienza degli usi finali è già superiore alla media mondiale, ma occorrono ulteriori interventi normativi per accelerare i miglioramenti nei diversi settori, dall’edilizia ai trasporti, ai processi produttivi. Nella legislazione vigente, l’obiettivo al 2020 di riduzione dell’efficienza è però l’unico non vincolante e, nonostante gli interventi in alcuni settori specifici, anche per gli obiettivi al 2030 non è ancora emersa la volontà di includere l’obiettivo dell’efficienza tra quelli vincolanti.

Aumentare l’integrazione dei mercati
La seconda priorità d’azione è quella di proseguire con l’integrazione dei mercati energetici europei, in particolare quello elettrico e quello del gas. Un mercato più ampio e interconnesso ha infatti un approvvigionamento più diversificato, può sfruttare le complementarietà dei diversi sistemi nazionali e in ultima analisi è più resiliente.
Nel caso del gas, in particolare, dato che la domanda europea resterà debole e le infrastrutture di importazione sono nel complesso ridondanti, per decisori politici dei paesi europei l’integrazione è una soluzione ottimale per contenere i costi a parità di livello di sicurezza ottenuto.
La legislazione vigente, giunta al terzo “pacchetto energia”, ha finora favorito una crescente convergenza dei mercati nazionali, ma esistono ancora numerosi ostacoli normativi a una piena integrazione, anche a livello infrastrutturale. L’elemento più evidente del mancato completamento del processo di integrazione è l’assenza di un regolatore unico dell’energia a livello europeo.

Promuovere la concorrenzialità dei mercati
La terza priorità è quella di implementare e mantenere la struttura concorrenziale e aperta dei mercati energetici. Il ricorso ai meccanismi di mercato è uno degli aspetti fondanti non solo delle politiche energetiche europee, ma della struttura stessa dell’UE, sulla base dell’assunto che un mercato concorrenziale sia il miglior strumento per allocare efficientemente le risorse.
Pur nella necessità di contemperare esigenze diverse, occorre evitare che il perseguimento di obiettivi ambientali o di politica estera introducano distorsioni tali da compromettere l’efficienza del funzionamento del mercato, riducendone la concorrenzialità e dunque la capacità di aumentare il benessere e la sicurezza delle economie europee.
La legislazione vigente a livello europeo è frammentata e manca un indirizzo unitario e organico in tema di politica economica e industriale. Questa situazione favorisce una competizione tra istituzioni che fa emergere priorità e scelte a volte incompatibili tra loro, che rendono particolarmente incerto il quadro normativo per gli investitori e generano inefficienze.
Per quanto riguarda i consumatori finali, l’efficienza dei meccanismi di mercato è data dalla possibilità di discriminare tra le offerte e scegliere sulla base dei segnali di prezzo. Un elevato livello di tassazione, come quello vigente in molti grandi mercati europei, distorce i segnali di prezzo sino a renderli poco significativi nella scelta dell’offerta, compromettendo così l’efficienza dei mercati. Ridurre la rigidità dello strumento fiscale per i consumi energetici rappresenta dunque una condizione necessaria al funzionamento dei mercati finali europei e, in prospettiva, del mercato unico.
Il mercato e la concorrenza non sono solo principi che informano i processi economici interni all’UE, ma sono anche le modalità con cui gli operatori europei si approvvigionano a livello internazionale. Per i governi europei il rafforzamento delle istituzioni di mercato a livello internazionale e l’aumento della concorrenzialità anche al di fuori dell’Europa sono dunque strumenti primari per il rafforzamento della sicurezza energetica europea.

Ricercare protocolli condivisi a livello globale sulle emissioni
La quarta priorità è quella di ridurre le emissioni a livello globale e non solo regionale. A differenza dell’inquinamento locale, nel caso dell’anidride carbonica ridurre le emissioni in una regione non produce alcun beneficio locale, ma solo globale e solo se la riduzione dei volumi complessiva è sufficientemente ampia.
Gli sforzi imposti alle economie europee per ridurre le emissioni di anidride carbonica hanno già oggi un effetto marginale a causa della quota ridotta delle emissioni europee sul totale (11%). Questa quota è destinata a ridursi ancora – fino al 7% del totale – nel corso del prossimo decennio, quando i consumi europei diminuiranno mentre quelli del resto del mondo aumenteranno rapidamente, rendendo sempre più inutili gli sforzi unilaterali europei.
Gli obiettivi europei vigenti sono di una riduzione per il 2020 del 20% delle emissioni rispetto al 1990 ed è già emersa la volontà di portare questo obiettivo al 40% entro il 2030. Il rispetto degli obiettivi al 2020 è fortemente agevolato dalle conseguenze della crisi economica, mentre il rispetto degli eventuali nuovi obiettivi al 2030 potrebbe essere nettamente più costoso, favorendo tra l’altro un’ulteriore deindustrializzazione del continente se adottate in modo unilaterale.
La priorità per i decisori politici europei è dunque quella di ricercare protocolli condivisi sulle esternalità negative delle emissioni di gas climalteranti, a cui possano aderire i governi di tutte le grandi economie mondiali. La definizione di standard globali consentirebbe di trasformare la questione della riduzione delle emissioni da un tema di impegno su basi etiche a un tema di mercato, in base al quale incorporare nei prezzi finali il costo delle esternalità nelle attività economiche attraverso meccanismi di tassazione coordinati a livello globale.
In caso di mancata cooperazione, un’alternativa per i paesi europei potrebbe comunque essere quella di destinare più attenzione e più risorse alle misure di contenimento degli effetti del cambiamento climatico sul territorio e sulle attività umane. In questo caso, peraltro, gli investimenti avrebbero ricadute positive certe e su base locale, a prescindere dalle scelte di politica ambientale di altri governi.

L’inattesa caduta dei prezzi del petrolio

GME - Newsletter 2014/10Il GME ha pubblicato ieri il numero di ottobre della propria newsletter mensile. Accanto alle consuete analisi dell’andamento dei mercati elettrico, del gas e dei certificati ambientali, il numero di ottobre propone anche un’analisi di Alberto Clô dedicata alla contrazione delle quotazioni del greggio.

Due le cause principali, secondo l’analisi. “Primo, lato offerta, il ciclo degli investimenti che si è avviato dalla metà del decennio scorso, con una spesa totale tra 2003 e 2013 di 4.000 mild. doll. nel solo upstream, che ha generato un sensibile aumento dell’offerta corrente e della capacità produttiva di petrolio (oltre i 100 mil. bbl/g).

“Secondo, lato domanda, la sua distruzione strutturale nei paesi industrializzati (2005-2013: -5,0 mil. bbl/g) – quale effetto combinato dell’elasticità ai più elevati prezzi, dei miglioramenti d’efficienza, della recessione – ed il rallentamento congiunturale della crescita della domanda nei paesi emergenti (specie nell’area asiatica)”.

Tra i diversi spunti proposti nell’analisi, ne segnalo uno che spesso si dimentica nei commenti alla situazione attuale: “un calo della produzione Opec non porterebbe poi necessariamente ad un rialzo dei prezzi per l’asimmetria tra la qualità dei greggi che registrano il più consistente surplus (light-sweet) e quella Opec più sbilanciata sulle qualità sour”. Tecnicalities che possono fare la differenza.

Produttori in difficoltà, ma l’OPEC non è morto

L’Organization of the Petroleum Exporting Countries, meglio conosciuta come OPEC, è da oltre quaranta anni uno degli attori fondamentali dei mercati petroliferi mondiali. Con qualche capatina politica, soprattutto a partire dagli anni Settanta.

L’OPEC conta oggi 12 stati membri: Algeria, Angola, Arabia Saudita, Ecuador, Emirati Arabi Uniti, Iran, Iraq, Kuwait, Libia, Nigeria, Qatar, Venezuela. Nel complesso, questi Paesi producono circa il 40% del totale mondiale e sono stati duramente colpiti dalla contrazione dei prezzi del greggio.

A questa riduzione del valore delle esportazioni a parità di volume si somma anche la crescente concorrenza da parte della produzione non-OPEC. Alla vigilia di un vertice, quello del 27 Novembre, in cui difficilmente si vedranno tagli importanti alla produzione per difendere i prezzi, qualcuno parla di un mondo senza OPEC, indicando la causa principale nella produzione non convenzionale nordamericana.

Eppure, a ben vedere, chi in questo momento fa più fatica a misurarsi col futuro che va oltre il trimestre sono proprio i produttori statunitensi, che hanno alti costi di produzione e necessità di continuo rifinanziamento delle trivellazioni. Una situazione alquanto diversa dai tempi e dalle logiche di sviluppo dei giacimenti convenzionali, soprattutto nel Golfo Persico.

A giocare a favore della posizione dei Paesi OPEC nel lungo periodo è poi la distribuzione delle riserve a livello mondiale: oggi si trivella e si produce soprattutto al di fuori dell’OPEC, ma l’inevitabile destino sembra essere quello di una centralità dei Paesi OPEC su basi essenzialmente geologiche.

iserve provate di petrolio: ripartizione tra Paesi OPEC e non-OPECRiserve provate di petrolio: i primi 20 Paesi al mondoUn inevitabile recupero di quote nel lungo periodo che infatti si riflette anche nello scenario di riferimento dell’edizione 2014 del World Oil Outlook, dove la produzione dei Paesi OPEC resta stabile nel medio e cresce nel lungo, l’esatto contrario della produzione non-OPEC.

OPEC - Long-term liquids supply outlook in the Reference Case

Le difficoltà per l’OPEC certo non mancano, soprattutto nella gestione dei rapporti tra gli agiati produttori del Golfo e quanti, dall’Algeria al Venezuela, fanno fatica a tenere il passo della propria spesa pubblica. Ma di qui a dare per morto l’OPEC ce ne passa.

 PS: l’articolo del NYT da cui parte questa riflessione rimanda a un più ampio, articolato e in parte condivisibile articolo di Foreign Policy.

Saudi America, il nuovo swing producer?

Economist - Saudi America. The economics of shale oil Il petrolio continua a essere il centro dei mercati energetici globali, presenti e futuri. Sul tema, segnalo un bell’articolo dell’Economist, Saudi America. The economics of shale oil.

Il titolo rimanda esplicitamente a uno degli aspetti più interessanti del boom non convenzionale statunitense: la possibilità che gli Stati Uniti rivestano almeno in parte il ruolo di swing producer, oggi di fatto svolto a livello globale dall’Arabia Saudita.
A ostacolare una piena evoluzione in questo senso è però la legislazione statunitense, che vieta l’esportazione del greggio. Rimuovere l’ostacolo è molto difficile, ma non impossibile.

La politica estera UE e la sicurezza energetica globale

ISS - Energy moves and power shifts: EU foreign policy and global energy securitySegnalo anche io il report di Iana Dreyer e Gerald Stangdal titolo Energy moves and power shifts: EU foreign policy and global energy security, pubblicato dall’EU Institute for Security Studies.

Analisi dettagliata e interessante, incentrata sulla proposta di sei priorità d’azione per l’UE in materia di sicurezza energetica:

  • migliorare gli approcci multilaterali a livello globale (risposta pragmatica al declino relativo);
  • puntare ad accordi vincolanti con la Russia sulla reciprocità degli investimenti (quantomai attuale, data la perdurante instabilità ucraina);
  • cooperare con Stati Uniti e Giappone per l’apertura dei mercati energetici e per gli investimenti (in fondo, continuano ad essere sistemi economici più simili a noi);
  • dialogare e cooperare con la Cina, anche per influenza gli altri Paesi in fase di industrializzazione (necessario);
  • lavorare sul contenimento della domanda di fossili, sfruttando anche le politiche ambientali (che comunque offrono un pretesto);
  • gestire i rapporti coi fornitori, focalizzandosi su produttori più vicini (toh, vuoi vedere che la geografia conta ancora?)

Parecchi spunti: consiglio davvero la lettura, almeno dell’executive summary.