La crisi dei mercati elettrici in Europa: alcune letture consigliate

OEISOggi vorrei segnalarvi due interessanti testi pubblicati negli ultimi mesi dall’Oxford Istitute for Energy Studies, che affrontano il tema della persistente crisi dei mercati elettrici europei e della difficile situazione in cui versano molte delle tradizionali utility elettriche.

Il primo pezzo, scritto da David Robinson, analizza i fattori che stanno spingendo verso l’alto i costi del sistema elettrico e verso il basso i ricavi delle imprese operanti nel settore. Questo effetto “forbice”, come lo soprannomina l’autore, è dovuto a: crescita stagnate della domanda di elettricità per colpa della crisi economica e delle politiche a favore dell’efficienza; crescente penetrazione delle fonti rinnovabili sussidiate tramite pagamenti fuori mercato; maggiore importanza della generazione distribuita e della partecipazione attiva della domanda.

Nei fatti questi fattori stanno creando un sistema non sostenibile che ridurrà l’incentivo per i privati a investire nel settore e quindi imporrà ulteriori correttivi di policy. Di fato la situazione attuale chiede che si decida se si vuole rinunciare alla liberalizzazione del settore elettrico.

Il secondo pezzo, invece, è stato scritto da Malcolm Keay e partendo dai fatti evidenziati da Robinson si sofferma sull’inadeguatezza dell’attuale struttura del mercato elettrico, incentrato sulla vendita dell’energia (kWh) e sull’ordine di merito economico. Per Keay questo sistema è strutturalmente inadatto al nuovo paradigma tecnologico, dove si persegue la decarbonizzazione della generazione elettrica e molti impianti a fonti rinnovabili hanno costi marginali praticamente nulli. Si passa perciò in rassegna a numerose possibili soluzioni, evidenziandone pregi e difetti. Particolarmente chiara è l’opposizione dell’autore ai mercati della capacità come soluzione per i problemi attuali. L’autore giunge pensino a suggerire un innovativo sistema basato su due mercati separati. Da valutare con attenzione.

Si tratta di temi molto importanti, che da tempo sono balzati anche agli occhi della Commissione europea. Quest’ultima la scorsa estate ha avviato un dibattito sulla riforma del mercato elettrico, che dovrebbe tradursi in una serie di proposte nei prossimi mesi. In Italia, Confindustria è già uscita con una sua posizione.

Vedremo cosa ne verrà fuori.

I’m smart because you’re stupid: l’autoconsumo e il mercato elettrico italiano

IEW - I’m smart because you’re stupidLe politiche nate rapsodicamente negli ultimi anni per promuovere le rinnovabili hanno creato significative distorsioni nei mercati elettrici di tutta Europa, a partire da quello italiano.

Una di queste distorsioni è messa ben in evidenza in un post di Carlo Durante, pubblicato dall’IEW: I’m smart because you’re stupid.

Come spiega chiaramente Durante, nel decennio scorso il regolatore ha adottato una serie di misure volte a favorire la diffusione delle rinnovabili presso produttori che fossero anche consumatori, in piena sintonia col concetto di generazione distribuita.

In particolare, lo schema di agevolazione più recente è quello dei sistemi efficienti di utenza (SEU), che consente a un utente, che consuma attraverso la propria rete l’energia che produce, di essere esonerato da una parte dei costi di sistema, risparmiando così il 35-40% rispetto a una bolletta “normale”.

Questo schema, che vale per impianti fino a 20MW, è risultato particolarmente appetibile per le piccole e medie imprese, che pagano l’elettricità molto più cara sia delle famiglie sia delle grandi industrie e che grazie allo schema possono risparmiare molto sull’energia.

Le piccole e medie imprese però hanno bisogno di energia in modo affidabile ed economico, che magari combini alla generazione elettrica anche la produzione di calore. In altre parole, più che pannelli fotovoltaici, le imprese hanno fatto installare impianti di cogenerazione, in primis a gas.

Il risultato è che una parte importante dei consumi (7% nel 2014) si è spostata sull’autoconsumo per evitare i costi di sistema della bolletta, esplosi negli ultimi anni a causa delle rinnovabili sussidiate. Dato che i costi di sistema restano sostanzialmente invariati, il peso sui consumatori non inseriti negli schemi di autoconsumo è così ulteriormente aumentato.

Nel tentativo di correggere questa stortura, nei prossimi mesi potrebbero arrivare proposte di nuovi interventi. Il rischio è che la pezza risulti peggio del buco.

Il mercato britannico della capacità

IEW - The British capacity market: a hidden déjà vu?La penetrazione delle rinnovabili nel paniere elettrico europeo negli ultimi anni, oltre a causare un enorme trasferimento di ricchezza nella casse dei percettori dei sussidi, ha amplificato il rischio –  insito nei mercati liberalizzati – di un’insufficienza di investimenti in capacità di generazione disponibile.

In un quadro di incertezza, infatti, gli investitori di mercato possono non assumersi tutti gli oneri finanziari necessari a sviluppare e mantenere abbastanza capacità di generazione da soddisfare sempre la domanda finale, perché rischierebbero di ritrovarsi con degli impianti sotto-utilizzati e quindi anti-economici. Una condizione insostenibile se non si può scaricare direttamente sui consumatori il loro costo, come avveniva in regime di monopolio.

Allo stesso tempo, però, la disponibilità di energia elettrica in modo costante e affidabile è l’aspetto in assoluto più delicato per la sicurezza energetica delle società industrializzate, altamente dipendenti dall’elettricità sia per i processi produttivi, sia per gli apparati di telecomunicazioni.

Per questo, in un mercato liberalizzato è necessario che la collettività si faccia carico di remunerare degli operatori per mantenere operativi e disponibili impianti sufficienti a garantire che ci sia sempre capacità di riserva pronta a entrare in funzione per sopperire all’instabilità di altri produttori, in particolare di quelli da rinnovabili.

Il 16 dicembre scorso la Gran Bretagna è stato il primo Paese UE a tenere un’asta della capacità di generazione, lo strumento più efficace per allocare in modo efficiente i sussidi necessari a mantenere livelli minimi di capacità di generazione.

Su questo tema segnalo l’ottimo post di Simona Bendettini, The British capacity market: a hidden déjà vu?, che inaugura le attività dell’Osservatorio Energia dell’ISPI, l’ISPI Energy Watch.

Energia elettrica: quando il prezzo è negativo

EP.eu - The case for allowing negative electricity pricesL’idea che il prezzo dell’elettricità possa essere negativo è qualcosa di esoterico, per i non addetti ai lavori. Eppure già oggi in Francia, Germania, Austia e Svizzera, Belgio e Paesi Bassi i prezzi negativi sono una reatà e per alcune ore all’anno i consumatori sono “pagati” per consumare.

Ma perché i prezzi dovrebbero essere negativi? E quali sono i benefici per i consumatori e per il sistema? Lo spiegano molto chiaramente Simona Benedettini e Carlo Stagnaro in un post dal titolo The case for allowing negative electricity prices.

Anticipo, per chi fosse curioso, che i prezzi negativi – quando consentiti dalla regolamentazione di un mercato elettrico – sono la conseguenza di due fattori concomitanti: l’alta penetazione delle rinnovabili e un parco di generazione poco flessibile.

Quando la domanda è bassa, infatti, gli impanti fotovoltaici ed eolici possono produrre a costo quasi zero, mentre ci sono dei produttori con impianti meno flessibili – solitamente a carbone o nucleari – per i quali interrompere l’attività di produzione costerebbe molto e che quindi preferirebbero pagare qualcuno per ritirare la propria energia piuttosto che spegnere un impianto. Da qui nasce l’esigenza poter spingere i prezzi dell’energia in territorio negativo.

Per i dettagli e, sopratttutto, per le ricadute positive sui consumatori e sul sistema, rimando al post.

Sorgenia: potrà il mercato fare il suo corso?

Centrali SorgeniaLa crisi del settore elettrico che ormai da un paio di anni attanaglia l’Italia sta mietendo la sua prima vittima illustre: Sorgenia.

La società, posseduta per circa il 50% dalla holding Cir di De Benedetti, è infatti oberata di debiti (circa 1,9 mld di euro) dovuti alla realizzazione di ben 4 centrali a gas tra il 2006 e il 2011. Di fronte a un mercato elettrico con eccesso di capacità di produzione e di fronte alla concorrenza crescente delle fonti rinnovabili che hanno spiazzato il gas nel mix di generazione, la società non riesce a far funzionare a sufficienza le proprie centrali nuove di zecca e ha limitato le vendite di elettricità lo scorso anno a una decina di TWh con un ricavo complessivo di circa 2,5 mld di euro.

Troppi pochi per sostenere il debito e così lo spettro del fallimento si avvicina. Oltre alla proprietà (alla Cir si aggiunge la società elettrica austriaca Verbund, che possiede un altro 40% circa di Sorgenia e che ha già deciso di uscire dall’affare), molto esposte sono le banche, le quali potrebbero trovarsi con un’enorme ammontare di crediti non esigibili (tra le più esposte Mps). Certo, potrebbero entrare in possesso delle centrali di Sorgenia, ma la cosa non è affatto allettante al momento.

In un’economia di libero mercato questa situazione dovrebbe portare alla chiusura di Sorgenia e alla dismissione dei suoi asset, che potrebbero essere acquistati a prezzi molto scontati da altre società elettriche. Alcune delle centrali, come per esempio quella di Vado Ligure, posseduta da Tirreno Power, a sua volta controllata da Sorgenia per circa il 40%, dovrebbero essere chiuse. Si contribuirebbe così a ridurre quell’eccesso di capacità presente sul mercato. Tuttavia, il settore elettrico non è un mercato in concorrenza perfetta e già si ipotizza un intervento del Governo per aiutare Sorgenia indirettamente, potenziando il meccanismo di capacity payment introdotto due anni fa a vantaggio del termoelettrico.

Al momento non credo che questo sia qualcosa che al Paese serva, ma solo l’ennesimo aiuto alle grandi imprese pagato da tutti noi tramite la bolletta elettrica. Mi auguro che Renzi, l’innovatore della politica italiana, sia coerente con le idee che continuamente sostiene e decida di non aiutare un’impresa che ha fatto investimenti sbagliati.