La fuorviante narrativa dell’OPEC sull’offerta petrolifera

OPEC’s Misleading Narrative About World Oil SupplySegnaliamo un policy brief dal titolo OPEC’s Misleading Narrative About World Oil Supply, scritto da Leonardo Maugeri per il Belfer Center di Harvard.

La principale conclusione del testo è che i tagli dei produttori OPEC e non-OPEC non sono sufficienti a riassorbire l’eccesso di produzione globale e quindi, a meno che la crescita della domanda non arrivi a livelli record, nel 2017 i prezzi del greggio potrebbero essere destinati ad una nuova significativa contrazione.

Il policy brief è breve ma ricco di spunti. Per quanto riguarda la domanda, in particolare, Maugeri sottolinea come i tagli, oltre a essere piuttosto modesti, abbiano il duplice (e opposto) effetto di sostenere il prezzo e di favorire gli investimenti e quindi l’aumento dell’offerta da parte dei produttori non vincolati dall’accordo, come i produttori di non-convenzionale statunitensi.

Per quanto riguarda la domanda, Maugeri evidenzia come le prospettive non sembrino particolare incoraggianti: le stime per il 2017 sono state già riviste al ribasso da più parti e l’aumento della domanda a livello globale dovrebbe essere inferiore a 1,3 Mbbl/g (0,9 in Cina e India insieme, probabilmente meno di 0,4 nel resto del mondo), probabilmente non abbastanza per assorbire sia la nuova offerta sia l’eventuale riduzione degli stock.

I Paesi OPEC e l’altalena della rendite da esportazione

prezzi del greggio stanno facendo registrare in questi giorni continui record negativi, dovuti a un eccesso di offerta sui mercati internazionali e al rafforzamento del dollaro. Dopo anni di quotazioni sopra quota cento e la forte discesa iniziata a metà dell’anno scorso, i prezzi sotto quota 40 dollari stanno colpendo duro le economie dei Paesi esportatori di petrolio.

Il dato è particolarmente evidente guardando ai Paesi OPEC. Secondo quanto riportato da MEES, tra il 2013 e il 2015 il valore totale delle rendite annue da esportazione dei Paesi del cartello si è ridotto di 598 miliardi di dollari, più che dimezzandosi. E le attese per il 2016 sono di un’ulteriore contrazione di 118 miliardi.

Il controvalore delle rendite da esportazione petrolifera

Il peso della riduzione delle rendite si può apprezzare meglio se valutato in rapporto al valore complessivo del PIL.

L’incidenza delle rendite da esportazione petrolifera sul PIL
Per il momento i Paesi OPEC mediorientali hanno risorse sufficienti a reggere il contraccolpo, ma senza un ritorno in tempi non troppo lunghi a livelli di prezzo più alti la necessità di tagliare la spesa pubblica potrebbe diventare un problema vitale per tutti gli stati della Penisola araba.

Greggio: è iniziata la risalita?

Oil-price.net - Crude Oil and Commodity PricesIl prezzo di un barile di Brent è tornato sopra quota 55 dollari, dopo essere stato ampiamente sotto i 50 dollari nell’ultima parte di gennaio. La domanda è naturale: siamo di fronte a una risalita?

Ci sono segnali che vanno in direzioni opposte, come spiega FT. Per cominciare, diversi sono gli indizi che portano nella direzione di un aumento immediato dei prezzi.

Sul lato dell’offerta, il numero di impianti di trivellazione in funzione negli Stati Uniti ha iniziato a contrarsi, perché i giacimenti non convenzionali hanno bisogno di trivellazioni continue e dunque i produttori indipendenti che li sfruttano posso rispondere più rapidamente alle variazioni di prezzo sospendendo le operazioni.

Peraltro, anche gli investimenti in produzione convenzionale stanno rallentando drammaticamente: Royal Dutch Shell, ConocoPhilips e BP sono le majors che hanno annunciato i tagli più grossi, ma la tendenza a sospendere i progetti più costosi è generalizzata.

Sul lato dell’offerta, la domanda sta iniziando a crescere in risposta ai prezzi più bassi, soprattutto dove i prodotti petroliferi sono meno tassati, ossia negli Stati Uniti. La domanda statunitense di benzina ha infatti superato in media i 9 milioni di barili al giorno per tutto il mese scorso.

Infine, a confermare (forse) le aspettative di rimbalzo sono arrivate le dichiarazioni del segretario generale dell’OPEC, Abdalla El-Badri, che ha detto di recente che le quotazioni petrolifere “maybe prices have reached a bottom”. Sibillino, ma per alcuni analisti potrebbe essere un appiglio.

Tuttavia, anche i segnali di una possibile ripresa della discesa dei prezzi non sono trascurabili. In primo luogo, la produzione interna statunitense continua a crescere per effetto degli investimenti dell’anno scorso e la settimana scorsa ha raggiunto il livello di 9,2 milioni di barili al giorno, il più alto degli ultimi 31 anni.

Inoltre, dai produttori OPEC continua a non arrivare alcun segno di riduzione dei volumi e addirittura i due membri africani, Angola e Nigeria, hanno aumentato la produzione per cercare di restare a galla finanziariamente, portando a gennaio la produzione complessiva del cartello a 30,37 milioni di barili al giorno.

Sul lato della domanda, ci sono parecchi dubbi sul ritmo della crescita globale, soprattutto dopo che l’IMF ha tagliato di 0,3 punti percentuali le previsioni di crescita per il 2015 e il 2016, rispettivamente a 3,5% e 3,7%.

Qualche segnale di sfiducia arriva infine anche dai mercati finanziari, dove gli hedge funds stanno scommettendo su un nuovo ribasso del WTI, esponendosi come non si vedeva dal novembre 2010.

Insomma, troppo presto per tirare le conclusioni. Ma se il prezzo dovesse ripartire, potremmo presto trovarci presto a discutere dei downsides of expesive oil.

Produttori in difficoltà, ma l’OPEC non è morto

L’Organization of the Petroleum Exporting Countries, meglio conosciuta come OPEC, è da oltre quaranta anni uno degli attori fondamentali dei mercati petroliferi mondiali. Con qualche capatina politica, soprattutto a partire dagli anni Settanta.

L’OPEC conta oggi 12 stati membri: Algeria, Angola, Arabia Saudita, Ecuador, Emirati Arabi Uniti, Iran, Iraq, Kuwait, Libia, Nigeria, Qatar, Venezuela. Nel complesso, questi Paesi producono circa il 40% del totale mondiale e sono stati duramente colpiti dalla contrazione dei prezzi del greggio.

A questa riduzione del valore delle esportazioni a parità di volume si somma anche la crescente concorrenza da parte della produzione non-OPEC. Alla vigilia di un vertice, quello del 27 Novembre, in cui difficilmente si vedranno tagli importanti alla produzione per difendere i prezzi, qualcuno parla di un mondo senza OPEC, indicando la causa principale nella produzione non convenzionale nordamericana.

Eppure, a ben vedere, chi in questo momento fa più fatica a misurarsi col futuro che va oltre il trimestre sono proprio i produttori statunitensi, che hanno alti costi di produzione e necessità di continuo rifinanziamento delle trivellazioni. Una situazione alquanto diversa dai tempi e dalle logiche di sviluppo dei giacimenti convenzionali, soprattutto nel Golfo Persico.

A giocare a favore della posizione dei Paesi OPEC nel lungo periodo è poi la distribuzione delle riserve a livello mondiale: oggi si trivella e si produce soprattutto al di fuori dell’OPEC, ma l’inevitabile destino sembra essere quello di una centralità dei Paesi OPEC su basi essenzialmente geologiche.

iserve provate di petrolio: ripartizione tra Paesi OPEC e non-OPECRiserve provate di petrolio: i primi 20 Paesi al mondoUn inevitabile recupero di quote nel lungo periodo che infatti si riflette anche nello scenario di riferimento dell’edizione 2014 del World Oil Outlook, dove la produzione dei Paesi OPEC resta stabile nel medio e cresce nel lungo, l’esatto contrario della produzione non-OPEC.

OPEC - Long-term liquids supply outlook in the Reference Case

Le difficoltà per l’OPEC certo non mancano, soprattutto nella gestione dei rapporti tra gli agiati produttori del Golfo e quanti, dall’Algeria al Venezuela, fanno fatica a tenere il passo della propria spesa pubblica. Ma di qui a dare per morto l’OPEC ce ne passa.

 PS: l’articolo del NYT da cui parte questa riflessione rimanda a un più ampio, articolato e in parte condivisibile articolo di Foreign Policy.