Kiev: ok il prezzo è giusto!

Russia closes $3 billion Eurobond deal for UkrainePer chi avesse ancora qualche dubbio sulla portata del riavvicinamento tra l’Ucraina di Yanukovich e la Russia, sono trapelati nei giorni scorsi i termini degli accordi economici raggiunti tra i due Paesi.

La Russia sta acquistando quantità crescenti di debito pubblico di Kiev: 3 miliardi di dollari di buoni non vendibili con scandenza due anni subito. A cui seguiranno altri 12 miliardi nei prossimi mesi.

Ossigeno per le casse pubbliche ucraine, a cui si somma un altro importantissimo aiuto. La Russia sconterà le proprie forniture di gas naturale: da 400 a 268,5 dollari ogni mille metri cubi (-33%).

Non sono al momento chiari i quantitativi di riferimento e né il periodo di validità del nuovo prezzo (e in partticolare se sia retroattivo). Per avere una misura del possibile sconto, basta in ogni caso considerare che l’Ucraina importa dalla Russia almeno 30 Gmc/a. Con il prezzo vecchio, il controvalore massimo sarebbe di 12 miliardi di dollari. Con il prezzo nuovo, circa 8, con uno sconto di 4 miliardi di dollari all’anno.

Un sussidio importante per l’Ucraina, in grado di ridurre di oltre un quarto il passivo di bilancia commerciale di merci di Kiev. Un “alleggerimento” strutturale per l’economia ucraina, fondamentale per fronteggiare la crisi ed evitare un avvitamento del debole settore industriale del Paese.

Per la Russia, si tratta di un costoso ma importante passo avanti nel consolidamento della propria influenza nello spazio post-sovietico. Per quanto riguarda le infrastrutture energetiche, le ricadute potrebbero essere importanti nei prossimi anni.

Se – come probabile – il governo ucraino dovesse infatti trovarsi in difficoltà al momento del riborso del debito, il governo russo potrebbe facilmente chiedere come contropartita la proprietà di Naftogaz o di parte della sua rete. Ripristinando definitivamente il controllo di Gazprom su tutte le infrastrutture di esportazione del gas in UE. E mettendo in dubbio l’utilità della costruzione di South Stream.

Aggiornamento: il nuovo prezzo delle forniture russe sarà in vigore dal 1° gennaio 2014.

Italia: gas a buon prezzo

Che l’energia sia un input dei processi produttivi e il suo prezzo influenzi la competitività delle industrie è un noto. E che le imprese italiane di tutte le classi di consumo paghino l’elettricità molto più della media europea e dei concorrenti tedeschi è putroppo una realtà consolidata.

Nel caso del gas naturale però il discorso è diverso, stando alle statistiche di Eurostat relative al primo semestre di quest’anno. Perché il gas in Italia costa più della media europea (18%) e delle Germania (20%) per i piccolissimi consumatori industriali (fino a 25.000 mc). Un discorso analogo vale anche per la classe successiva (fino a 250.000 mc).

Se però si considerano le fasce di consumo superiori, la situazione si inverte completamente e si registra un ampio vantaggio competitivo per i medi e grandi consumatori italiani (oltre il 20%).

Da dove nasce questo vantaggio? In parte dal costo del gas e dei servizi, ma solo per le classi di consumo medie e solo rispetto alla Germania. Il vero elemento di vantaggio competitivo per i medi e grandi consumatori industriali italiani è la tassazione, che letteralmente crolla dal 31% per i piccolissimi consumatori al 19% per i medi, al 10% per i grandi e addirittura all’8% per i grandissimi, mentre per i concorrenti europei resta ampiamente sopra il 20%.

Chiamala, se vuoi, politica industriale.

Prezzo del gas per consumatori industriali per classi, tasse escluse (Eurostat, nrg_pc_203)

Prezzo tasse escluse

Prezzo del gas per consumatori industriali per classi, tasse incluse (Eurostat, nrg_pc_203)

Prezzo tasse incluse

Componente fiscale del prezzo finale del gas per consumatori industriali per classi (Eurostat nrg_pc_203)

Tassazione


Per approfondire: il foglio elettronico coi dati e con tutte le elaborazioni.

Rallentamento cinese e mercati energetici

PIL cinese - variazione annua %Segnalo un interessantissimo post di Nick Butler sulle prospettive dei consumi energetici cinesi e sul loro impatto sui mercati internazionali e un post di Jérémie Cohen-Setton (Bruguel) sullo stesso tema.

Semplificando brutalmente, le stime di consenso per i prossimi decenni (IEA, AIE, BP, Shell, Exxon) sono tutte di una domanda cinese in continua espansione con ritmi comparabili a quelli dell’ultimo decennio. L’assunzione di base di questi scenari è che la crescita cinese continui con ritmi molto superiori alla media mondiale, ma ci sono parecchi segnali che la situazione sia destinata a essere molto più complessa e che i ritmi di crescita cinesi tenderanno inevitabilmente a contrarsi.

Il problema è che le attuali scelte di investimento risentono delle aspettative di una domanda energetica mondiale trainata da un import cinese in forte espansione, che però probabilmente crescerà meno del previsto. Il risultato? Un grosso rischio che il prezzo del barile imbocchi una tendenza alla contrazione, con effetti molto negativi sulle compagnie (peggio per loro) e per i Paesi produttori più dipendenti dalle esportazioni energetiche (e qui sorgono i problemi).

Resources futures

Resources FuturesSegnalo un’interessante ricerca pubblicata qualche mese fa da Chatham House: Resources Futures.

Lo studio ricostruisce le principali dinamiche nei mercati globali delle materie prime negli ultimi quindici anni: produttori, consumatori e flussi di scambio.

Lo studio inoltre propone alcune previsioni per il prossimi decenni. Per quanto riguarda l’energia, le tendenze al 2020 ipotizzate sono:

  • aumento della domanda globale del 17% rispetto al 2010 [uguale al dato IEA, World Energy Outlook 2012]
  • necessità di investimenti nel settore energetico pari a 3.000 miliardi di dollari
  • prezzo del greggio a 120 dollari al barile
  • prezzo del gas ancora regionale, con mantenimento di un forte differenziale tra Asia e Nordamerica.

Le tendenze al 2030 individuate sono:

  • aumento della domanda del 29% rispetto al 2010 [uguale al dato IEA]
  • aumento della domanda di carbone del 20% [uguale al dato IEA]
  • aumento della domanda di gas del 44% [5 p.p. più del dato IEA]
  • necessità di investimenti nel settore energetico pari a 37.000 miliardi di dollari al 2035, di cui la metà nel settore elettrico [analogo al dato IEA]
  • prezzo del greggio tra 100 e 140 dollari al barile in termini reali [il dato IEA è 125]

Nulla di particolarmente originale, dunque. Ma resta una lettura interessante per chi voglia farsi un’idea più precisa delle tendenze del passato prossimo e delle (probabili) tendenze future.

Chi ha paura delle materie prime in calo?

INGRANDISCI - Andamento dei prezzi delle materie prime (fonte: IMF)Segnalo una breve e interessante analisi di Markus Jaeger (DB) su vincitori e perdenti tra i Paesi emergenti di una riduzione dei prezzi delle materie prime.

L’analisi parte dalla considerazione che il diffuso processo di industrializzazione ha negli ultimi anni spinto verso l’alto le quotazioni delle materie prime, energetiche e non, necessarie a sostenere consumi crescenti.

La tendenza è data per acquisita, ma nell’ipotesi di prezzi in discesa, chi sarebbe a beneficiarne? Jaeger indica Turchia e Corea del Sud tra i grandi vincitori, avvantaggiati soprattutto sul fronte del costo dell’energia.

Tra i perdenti ci sarebbero invece Indonesia, Brasile, Sudafrica, ma soprattutto Russia. Perché se l’energia pesa sulla crescita degli importatori, nell’ultimo decennio è stata anche il vero motore dell’ecnonomia russa.

INGRANDISCI - Esportazioni nette di materie prime (fonte: WTO e DB)Secondo DB, agli attuali livelli di prezzo del greggio, la Russia sarà in attivo di partite correnti anche nel 2013-2014. Senza la componente energetica, il passivo sarebbe pari al 15% del PIL. Assumento la domanda di importazione come stabile, con quotazioni intorno agli 80 dollari al barile, il passivo (energia inclusa) sarebbe il 3% del PIL.

Senza il gettito delle materie prime energetiche, il bilancio pubblico russo sarebbe oggi in passivo del 10% del PIL. Tuttavia, in caso di calo dei prezzi delle materie prime, la situazione russa non sarebbe drammatica: le metriche di finanza pubblica russa sono ottime. Grandi riserve di valuta (500 miliardi di dollari) e bassissimo indebitamento (12%) lasciano ampi margini di manovra.

La situazione sarebbe critica solo in caso di calo drastico e prolungato, tale dal imporre correzioni strutturali alla spesa pubblica russa. Ma in un contesto del genere, le difficoltà della Russia sarebbero forse il meno, perché probabilmente saremmo nel mezzo di una pesante recessione globale.

 

Quattro ragioni per cui il prezzo del gas scenderà

Why gas prices will fallI fondamentali del mercato del gas naturale a livello globale indicano che i prezzi sono destinati a scendere. A sottolinearlo è Nick Butler, che dal suo blog sul sito del FT mette in evidenza quattro ragioni a sostegno della sua tesi.

La prima è che l’offerta di gas convenzionale è abbondante: le riserve provate a livello mondiale sono più alte di dieci anni fa ed esistono buone possibilità che nel sottosuolo dei grandi produttori (Russia, Iran, Stati Uniti) se ne trovino altre non ancora esplorate.

La seconda è che la diffusione del gas naturale liquefatto (costruzione di terminali e di metaniere) stanno connettendo sempre di più i tre grandi mercati regionali, mettendo in discussione le formule contrattuali indicizzare al petrolio (e più in generale le pratiche commerciali).

La terza è che il Giappone, dopo la sbornia post-Fukushima, tornerà con decisione al nucleare, facendo venire meno parte della domanda di GNL a caro prezzo sul mercato dell’Asia orientale. La vittoria del partito di Abe alle recenti elezioni non fa che rafforzare questa tendenza.

La quarta è che ci sono limiti alla domanda. In Europa, a causa della crisi economica e dei soliti (masochistici?) vincoli alle emissioni. In America, a causa del carbone sempre più competitivo. In Asia, pure con consumi destinati a crescere, si addensano dubbi sulla reale portata della futura crescita cinese e sulle capacità infrastrutturali indiane.

Tutto questo senza nemmeno considerare l’impatto di un possibile aumento della produzione non convenzionale fuori dal Nordamerica. Si prospettano ottime notizie dunque per i consumatori e – legislatore permettendo – perfino per le imprese europee.

Un po’ meno buone le notizie per quei produttori, come Gazprom e Sonatrach, che basano la propria redditività sugli alti margini garantiti dalle vecchie formule contratturali sempre più fuori mercato.

Le difficoltà si prospettano anche per i loro clienti, ossia i grandi operatori europei, che dovranno continuare nel braccio di ferro negoziale e arbitrale per restare competitivi sui mercati.

La notizia non è buona, infine, nemmeno per molti lobbisti delle rinnovabili, che di fronte a prezzi in discesa faranno sempre più fatica a trovare una giustificazione il crescente costo-opportunità dei sussidi alle rinnovabili.