NATO – Serie sull’energia nei conflitti

Segnaliamo due reports della serie Energy in Conflict, del Centro di Eccellenza NATO sulla Sicurezza energetica.

Energy in Conventional Warfare

Il primo, Energy in Conventional Warfare, ricostruisce il ruolo dell’energia nei conflitti convenzionali, con un excursus storico che parte dai due conflitti mondiali, attraversa la Guerra fredda e giunge fino alle operazioni della Prima guerra del Golfo e ai bombardamenti occidentali in ex-Jugoslavia nel 1999.

Nella serie dei casi analizzati, emerge l’importanza crescente delle fonti energetiche come obiettivo primario delle operazioni belliche e, al contempo, l’inevitabile aumento della precisione e dell’impatto degli attacchi miranti a danneggiare le infrastrutture energetiche più rilevanti.

Energy in Irregular Warfare

Il secondo, Energy in Irregular Warfare, ripercorrere una lunga casistica di attacchi (compiuti o progettati) contro le infrastrutture energetiche, suddividendoli in guerra asimmetrica e guerra non convenzionale.

Nel primo gruppo rientrano gli atti di terrorismo (essenzialmente islamista, nella casistica riportata) e le ribellioni (in Irlanda del Nord, Colombia, Beluchistan, Nigeria). Alla guerra asimmetrica sono invece ricondotti i casi di sabotaggio (sovietico) e quelli di attacco cyber.

La sicurezza energetica tra economia e politica

NarniTorno nuovamente a parlare di sicurezza energetica rendendo disponibile le diapositive realizzate per la lezione che ho tenuto il 31 pomeriggio a Narni presso la sede staccata dell’Università di Perugia.

Per l’occasione ero ospite del giornalista Daniel Della Seta, docente presso il corso di laurea in scienze per la sicurezza e l’investigazione.

Nel mio intervento, che concludeva le lezioni del corso sulla Valutazione delle Competenze in Sicurezza, ho introdotto il concetto di sicurezza energetica e la sua duplice dimensione, cioè quella dell’affidabilità e quella dell’accessibilità economica delle forniture di energia.

Data la sua natura di bene pubblico (non escludibilità e non rivalità nel consumo), la sicurezza energetica richiede normalmente l’intervento dell’autorità pubblica che ne deve favorire la produzione in quantità socialmente ottimali, alterando gli incentivi e le scelte che imprese e consumatori tenderebbero a fare da soli. Anche per questo motivo, la sicurezza è una delle tre finalità tipiche della politica energetica, assieme alla sostenibilità ambientale e al contenimento dei costi.

Dopo questa premessa “teorica” ho presentato il caso dell’Unione europea e dell’Italia al suo interno, osservando come ragionamenti diversi vadano fatti a seconda della fonte di energia considerata e del paese preso in considerazione. Il gas naturale e la crisi russo-ucraina sono un ottimo esempio a riguardo, dato che rappresentano una delle fonti di energia più sensibili al tema della sicurezza (molto più di carbone e petrolio) e rispetto alla quale la situazione dei diversi paesi membri della UE impone un livello di attenzione diverso (rischio limitato per l’Olanda o l’Italia, elevato per Slovacchia o Bulgaria).

Di fronte a queste situazioni molteplici sono le risposte di policy, anche a seconda dell’arco temporale disponibile. Nel breve periodo, ad esempio, piani di emergenza dovrebbero essere accuratamente definiti, mentre nel lungo periodo misure a favore dell’efficienza energetica, della diversificazione delle fonti e delle rotte di approvvigionamento, stoccaggi, stimolo alla produzione interna, ecc. dovrebbero essere adottate.

Le diapositive si possono trovare qui.

Ps: un grazie va a Matteo Verda, da cui scritti ho preso spunto per la lezione e alcune delle figure.

Come cambia la sicurezza energetica: la presentazione a UniPV

UnipvQualche giorno fa si è svolta presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università di Pavia la presentazione del rapporto ISPI curato da me e da Massimo Nicolazzi sulla sicurezza energetica.

Durante il seminario, cui hanno partecipato numerosi docenti del dipartimento, sono stati toccati molti dei temi discussi nei capitoli del rapporto. In particolare si è fatto riferimento: al contesto petrolifero emerso in questi ultimi anni, con l’OPEC che ha mostrato la sua incapacità di stabilizzare il mercato e tenere alti i prezzi del greggio; ai numerosi problemi della politica energetica europea, che riflette i diversi interessi, spesso legittimi, dei vari pari paesi membri e che difficilmente si riescono ad armonizzare; c) alle sfide che sta affrontando il settore elettrico a seguito dello sviluppo delle fonti rinnovabili e della generazione distribuita.

Per chi si fosse perso l’incontro, è possibile scaricare qui la presentazione cui ho fatto riferimento.

Ammetto che tornare nella propria Alma Mater ed essere stato dall’altra parte della cattedra ha fatto un certo effetto. Speriamo in altre occasioni per il futuro.

L’età dell’abbondanza: come cambia la sicurezza energetica

Nicolazzi e Rossetto - L’età dell’abbondanza: come cambia la sicurezza energeticaDopo alcune settimane di latitanza, segnalo ai lettori di questo blog l’uscita del nuovo rapporto dell’ISPI dedicato all’energia.

Se quello dell’anno scorso aveva avuto un taglio per aree geografiche (Europa, Cina, Russia, Asia centrale, ecc.), l’edizione di quest’anno è invece incentrata sul concetto di sicurezza energetica, un tema emerso con forza nel dibattito pubblico e in quello accademico a partire dalle crisi petrolifere degli anni ’70, che hanno mostrato come l’approvvigionamento regolare di energia a prezzi abbordabili non potesse essere dato per scontato.

Proprio sulla scorta di quegli eventi, il concetto di sicurezza si è incentrato prevalentemente sulla disponibilità di fornitori e rotte d’importazione degli idrocarburi diversificate e sulla stabilità nel tempo dei prezzi delle materie prime energetiche.

Negli ultimi anni il panorama è tuttavia mutato e il concetto o, forse meglio, la sua rilevanza e la sua applicazione pratica vanno perciò ripensati e riqualificati.

A richiedere questo spostamento semantico sono da un lato il notevole aumento della disponibilità di fonti fossili di energia da 18-24 mesi a questa parte e, dall’altro, la questione climatica, al centro di quasi tutti i dibattiti sull’energia, anche in seguito alla Conferenza di Parigi.

Il primo fattore pone in evidenza questioni che potevano essere meno importanti in un contesto supply-constrained, come la sicurezza della domanda per i paesi esportatori e la sostenibilità degli investimenti in nuove riserve; mentre il secondo fattore rileva da un lato perché i negoziati internazionali esercitano un’influenza, perlomeno indiretta, sulle politiche energetiche dei paesi e perché, dall’altro, in un contesto climatico in cambiamento anche la domanda di energia e l’affidabilità delle forniture cambiano e vanno ripensate (si pensi ai frequenti picchi di domanda estiva, agli eventi climatici distruttivi e quant’altro).

Il rapporto cerca di far luce su questi temi presentando il punto di vista e il contributo specifico di una serie di esperti, provenienti dal mondo accademico, dalle imprese o dalle istituzioni.

In questo modo il rapporto riesce a fornire spunti d’interesse sia per lettori curiosi ma relativamente profani, che per quelli più esperti e consapevoli, cui magari interessa approfondire aspetti specifici o essere aggiornati sugli sviluppi recenti.

Detto questo non mi resta che augurarvi una buona lettura e una buona Pasqua.

PS: per chi fosse interessato, la versione cartacea sarà prossimamente disponibile presso Edizioni Epoké.

L’importanza della TAP per l’Italia: le opportunità di una nuova infrastruttura

ISPI - La Tap e l'Italia: le opportunità di una nuova infrastruttura d'importazioneSegnalo un mio contributo recentemente apparso sul sito dell’ISPI, in cui faccio il punto sulla realizzazione del gasdotto TAP tra Turchia e Italia, infrastruttura che dovrebbe permettere di importare il gas dall’Azerbaigian a partire dal 2019.

A mio avviso si tratta di un’opera importante per il paese e mi rattrista sentire che il dibattito pubblico si limita a discutere sugli eventuali danni all’ambiente salentino.

Come sanno coloro che abitano in prossimità di uno dei molti gasdotti che attraversano il nostro paese, una volta realizzato, questo genere di opere è sostanzialmente invisibile e non produce danni. Sopra ci possono cresce le piante (certo non le case e forse questo è il punto).

Buona lettura e se qualcuno ha commenti, questi sono ben venuti.

La UE spinge per liberalizzare le esportazioni di idrocarburi USA

Sole24Ore - L'Europa punta i piedi per liberare l'export di petrolio e gas UsaIl Sole24 Ore riporta oggi la notizia di un documento della Commissione europea trapelato nelle mani del Washington Post, in cui si vede la pressione che i negoziatori europei del nuovo accordo di libero scambio transatlantico stanno facendo sui loro omologhi americani, affinché si proceda all’eliminazione delle restrizioni alle esportazioni di idrocarburi fuori dai confini statunitensi.

Tali restrizioni furono introdotte negli anni ’70, quando gli embarghi posti in essere dagli arabi e la diminuzione della produzione domestica accrebbero la percezione dell’esistenza di una minaccia alla sicurezza energetica nazionale.

A seguito della shale revolution tali restrizioni non hanno tuttavia più molta ragione d’essere: gli USA ormai producono al loro interno o importano dal vicino e affidabile Canada la gran parte degli idrocarburi di cui abbisognano.

Secondo la Commissione europea, facilitare le esportazione di idrocarburi USA verso l’Europa può migliorare la sicurezza energetica europea.  Ci sono tuttavia ragioni di crede, e in questo blog l’abbiamo detto più volte, che questo miglioramento sia piuttosto trascurabile.

Semmai, il beneficio che l’Europa potrebbe ottenere sarebbe quello di vedere ridotto il vantaggio competitivo delle raffinerie e delle altre industrie americane che usano gli idrocarburi come materia prima, materia prima che in situazioni di eccesso di offerta viene inevitabilmente venduta a un prezzo ribassato (si ricordi che in questi anni il Brent è stato sensibilmente più caro del West Texast Intermediate).

Nel caso queste pressioni avessero un seguito positivo nell’accordo transatlantico, il comparto europeo, che vive una situazione di profonda crisi, potrebbe avere qualche piccola ragione di gioire.