South Stream: l’Orso sta bleffando?

Questa estate le imprese partecipanti alla realizzazione del gasdotto South Stream hanno avviato un road show, che toccherà varie città europee e ha lo scopo di rendere noti i pregi e le virtù del progetto che dovrebbe portare entro il 2017 circa 63 mld di metri cubi di gas russo in Europa.

La tappa odierna si è tenuta a Milano e non doveva avere, agli occhi degli organizzatori, una valenza secondaria in quanto l’Italia è il punto di arrivo del gasdotto e uno dei maggiori acquirenti di gas russo.

Nel dibattito si è sottolineata la grande attenzione che il consorzio realizzatore sta ponendo ai temi della tutela ambientale e del coinvolgimento delle comunità locali che verranno interessate (a questo scopo si metterà a frutto la positiva esperienza acquista col Nord Stream).

Assai meno si è invece parlato degli economics del progetto: quanto costerà realizzare un tubo da circa 2200 km, di cui circa 900 in fondo al mare? a chi si venderanno e a che prezzo i miliardi di metri cubi che dovrebbe trasportare?

I russi presenti hanno citato vecchi dati IEA che prevedono una extra-domanda europea di importazioni di gas pari a 150-200 mld di metri cubi per il 2030. Tuttavia, si tratta di cifre che ritengo troppo ottimiste alla luce della perdurante crisi economica europea e della rapida penetrazione delle rinnovabili (in Italia i consumi di gas sono calati dopo aver toccato l’apice nel 2007-08). Se a questo si aggiunge che il Nord Stream da poco ampliato può portare 55 mld di metri cubi di gas, che si stanno progettando nuovi gasdotti come il TAP e che molti impianti di rigassificazione per l’Europa sono quasi inutilizzati è lecito domandarsi se abbia senso costruire questa enorme opera.

Tanto più che i mercati coinvolti, oltre all’Italia, dal tracciato (Bulgaria, Serbia, Bosnia, Ungheria, Croazia e Slovenia) valgono in totale poche decine di mld di metri cubi all’anno di consumi.

Forse, varrebbe la pena continuare a sacrificare qualche margine al quasi monopolista del transito Ucraina, piuttosto che investire 5-10 mld di euro in un tubo che potrebbe restare mezzo vuoto.

PS: avere qualche dubbio sull’effettiva realizzazione del gasdotto è lecito anche perché all’incontro di oggi non era presente nessun relatore di Eni e Edf, i maggiori partner europei del consorzio, e che anche i politici italiani (in parte scusati dalla perdurante crisi di governo che ci attanaglia) non hanno declinato all’ultimo l’invito per “superiori” impegni.

Sole24Ore: un po’ di confusione sui gasdotti

Caso Ablyazov, quando l'ospite inatteso diventa arbitro di governi e contratti energeticiA volte perfino sul Sole 24 Ore si trovano pezzi dai contenuti dubbi, come quello di oggi sul caso Ablyazov e sui rapporti tra l’Italia e il Kazakhstan. Al netto della questione dell’estradizione, il pezzo si chiude con un esempio di fantapolitica energetica condita da un candido disinteresse per i fatti. Introdotto da un accenno di sospetto.

Citando direttamente gli ultimi due capoversi:

Ultima considerazione, solo un indizio. Nell’ultimo Consiglio europeo di fine giugno, il premier Enrico Letta si è presentato in conferenza stampa sorridente per i risultati del vertice sull’occupazione. A un certo punto, Letta ha srotolato davanti ai giornalisti una mappa del nuovo gasdotto transadriatico Tap che consentirà l’afflusso del gas del Caspio dall’Azerbajan in Italia via Albania e Grecia tagliando fuori la Russia.

L’Italia vorrebbe parteciparvi. Così come voleva stare nel Bleu Stream insieme a Putin ed Erdogan e nel Nabucco a firma senza Putin). Ma il problema è che si tratta di progetti alternativi uno all’altro con impegni geostrategici diversi, spesso contraddittori. Sotto questo profilo il “pasticciaccio kazako” potrebbe anche essere un messaggio russo – via Astana – al nuovo giovane leader italiano per ricordargli, ove se lo fosse dimenticato, quanto permeabile e fragile sia tutto il nostro sistema.

Da dove cominciare? Dunque, l’Italia del TAP è il punto di arrivo: più partecipazione di così non si può. Se poi per Italia si intende Enel, forse è ora di rivedere qualche categoria analitica.

Andiamo avanti: Bleu Stream non esiste. E nel Blue Stream, il gasdotto che va dalla Russia alla Turchia, l’Italia non c’è. Ma Eni c’è, eccome: è socio al 50% con Gazprom.

Per quanto riguarda il Nabucco, il governo italiano non ha mai partecipato, così come non erano coinvolte aziende italiane.

Resta poi un mistero in che modo sarebbero alternativi un gasdotto in fase di costruzione da 10 miliardi di metri cubi (Gmc) che porterà nel 2020 gas azerbaigiano in Italia (TAP), un gasdotto già operativo da un decennio e che porta 16 Gmc all’anno di gas russo dedicato al mercato turco (Blue Stream) e un gasdotto abortito che avrebbe dovuto portare gas mediorientale in Austria.

Forse l’autore aveva in mente South Stream, il progetto russo-italiano-francese-tedesco da 60 Gmc, ma non è dato saperlo. Di certo evocare non meglio definite questioni “geostrategiche” proprio in chiusura non aiuta la comprensione. Meglio però chiarirsi le idee, prima di confonderle ai lettori.

Il South Stream e l’interesse dell’Italia

Siamo sicuri che il gasdotto South Stream sia nell’interesse dell’Italia? - Diego GavagninIn un post di oggi, Diego Gavagnin solleva la questione se il South Stream sia o meno nell’interesse dell’Italia. La sua risposta sembra essere “non troppo”, visto che il nuovo gasdotto in arrivo (ipotetico) al Tarvisio immetterebbe sul mercato italiano nuovo metano russo, che limiterebbe la concorrenzialità, aumenterebbe i prezzi e non sarebbe positivo per la sicurezza energetica nazionale. Inoltre, la nuova capacità di adduzione da Nord spiazzerebbe la nuova capacità di importazione da Sud, compromettendo la strategia che vuole fare dell’Italia l’hub meridionale del gas per l’UE.

Andiamo con ordine. Ammesso (e non concesso) che i flussi dalla Russia possano aumentare con la nuova infrastruttura, dovrebbero in ogni caso competere su un mercato sempre più concorrenziale: se il gas russo costa troppo, non si vende o si vende comunque meno degli altri. Nonostante Scaroni non si arrenda, sembra essere finita l’epoca in cui l’Eni poteva scaricare qualunque costo sui clienti finali.

Questo senza considerare l’effetto indiretto del South Stream: dare un altro colpo al Nabucco nella sua lotta contro il TAP, favorendo quest’ultimo e quindi l’arrivo del gas azerbaigiano in Italia, diversificando realmente gli approvvigionamenti.

E qui si arriva alla strategia dell’hub. Senza considerare che per fare hub occorre la capacità di esportazione (che al momento non abbiamo), immaginare per l’Italia un futuro da hub di transito nordafricano sembra una scommessa rischiosa, molto più rischiosa che farsi hub del gas russo (e eventualmente azerbaigiano).

A essere stato chiuso, di recente, è stato il Greenstream dalla Libia. E con le rivolte in Tunisia, si è rischiata l’interruzione del gas algerino, che pesa nei nostri consumi tanto quanto quello russo (circa un terzo). Le forniture dalla Russia sono sempre state affidabili e gli unici problemi si sono avuti per i ricatti ucraini, proprio quelli che South Stream è destinato a rendere inoffensivi. A tutto vantaggio della sicurezza energetica italiana.

Lavori South Stream: se ne parla nel 2014

Gazprom-led group to start laying underwater South Stream gas pipeline in 2014Per l’effettiva partenza nella costruzione del gasdotto South Stream occorrerà aspettare ancora qualche anno. A dirlo questa volta non sono io, ma Sebastian Sass, il portavoce del consorzio South Stream.

Il 7 dicembre ci sarà l’inaugurazione ufficiale dei lavori di costruzione, sulla costa russa del Mar Nero ad Anapa (regione di Krasnodar). A uso e consumo dei media e, soprattutto, per dare un segnale forte a quanti ancora cercano di sostenre il progetto Nabucco, che sembra essere giunto davvero al capolinea.

Secondo quanto riportato da Platts, infatti, Sass avrebbe detto che per iniziare i lavori del tratto off-shore, il più complesso da costruire (900 km, a profondità massima di circa 2.000 metri, un paio di anni di lavori), occorrerà attendere il via libera ambientale dei Paesi coinvolti (Turchia e Bulgaria) e che i membri del consorzio si aspettano i permessi ambientali entro il 2014.

Se poi ci metteranno di più, si potrà sempre fare scaricabarile, si potrebbe aggiungere.

I consumi europei dovrebbero impiegare qualche anno per tornare ai livelli del 2010 (la IEA sostiene fino al 2020). L’atteso calo della produzione interna europea probabilmente anticiperà il ritorno ai livelli di importazione pre-crisi, ma in ogni caso difficilmente si vede un mercato a breve-medio termine per altri 63 Gmc annui di gas russo, soprattutto prima di aver risolto il nodo dei prezzi e quello della procedure di infrazione per comportamento anti-concorrenziale, aperta dalla Commissione. Questo non significa che l’infrastruttura non si farà, ma sicuramente converrà a tutti (Gazprom in primis) procedere molto lentamente.

South Stream: cancellato il ramo verso l’Italia

South StreamIl progetto South Stream va avanti, ma perde i pezzi. Leonid Chugunov, il manager di Gazprom a capo del progetto, ha annunciato oggi che il ramo meridionale del progetto, che avrebbe dovuto raggiungere l’Italia meridionale passando per Bulgaria e Grecia, è stato cancellato (Agi, La Stampa, Sole24Ore).

Spiengandone le ragioni, Chunugov ha fatto riferimento al fatto che l’Italia meridionale abbia “altri progetti”, un chiaro riferimento all’ipotesi che il TAP abbia la meglio nella competizione per l’importazione di gas azerbaigiano.

Gazprom ha anche annunciato che il 7 dicembre saranno ufficialmente avviati i lavori per la costruzione della tratta sottomarina del South Stream, con una portata annua di circa 60 Gmc. Il costo di questa prima sezione dovrebbe essere di almeno 10 miliardi di euro, mentre il collegamento terrestre tra le coste bulgare e l’Austria dovrebbe costare 6 miliardi di euro, per un totale di 16 miliardi di euro, senza considerare la parte sul territorio russo.

Nonostante l’annuncio, restano forti dubbi soprattutto sul fatto che l’infrastruttura possa diventare operativa nel corso del decennio, anche a fronte delle deboli prospettive di recupero della domanda europea di gas naturale.

 

South Stream, avanti tutta!

South StreamGli accordi per il South Stream si moltiplicano, gli ultimi in ordine di tempo con la Serbia (29/10) e con l’Ungheria (31/10). Il pressing russo punta ad avviare le attività alle fine del 2012, per essere nel giro di qualche anno operativo, sancendo la definitiva marginalizzazione ucraina.

Sono sempre stato scettico sui tempi dichiarati del South Stream, se non in assoluto sulla sua fattibilità. E continuerò a non crederci davvero finché le condotte non saranno sul fondo del Mar Nero. Però viva viva il South Stream.

Il perché? I nemici dei miei nemici sono miei amici. Con South Stream fatto – o presunto tale – Nabucco sarebbe finalmente, definitivamente morto. E il gas azerbaigiano potrebbe comodamente prendere la via dell’Italia, attraverso il TAP, contribuendo a diversificare il nostro approvvigionamento (e magari forse anche ad aumentare la concorrenzialità del nostro mercato).

Bluff o non bluff, non ci resta che tifare South Stream. Magari rumorosamente.