L’offensiva russa

FT - Russia targets EU in WTO suit over energy policyLa Federazione Russa ha richiesto una consultazione formale con l’UE per violazione degli accordi del WTO.

Il governo russo contesta alla controparte europea di aver penalizzato alcune aziende russe come misura anti-dumping, in particolare nei settori dei fertilizzanti, dei tubi di acciaio e della produzione di acciaio e alluminio.

La misure sono state adottate da Bruxelles sulla base del costo ridotto dell’energia di cui godono le aziende russe, grazie alle politiche industriali di Mosca.

Il contenzioso è una risposta ai dazi imposti dalla Russia ai veicoli stranieri. Quest’ultima è ufficialmente una misura di protezione ambientale, ma secondo le accuse della Commissione sarebbe in realtà una misura di protezionismo a favore delle aziende russe.

Ora le parti hanno 60 giorni per dirimere la questione in modo bilaterale. In caso di insuccesso, il caso sarà portato davanti a un panel creato dal WTO per giudicare sulla questione.

La mossa russa rientra nel quadro della più ampia contrapposizione con la Commissione Europea, sia per la questione ucraina sia per la questione del ruolo di Gazprom nel mercato europeo.

Restano infatti pendenti sia il dossier relativo all’abuso di posizione dominante e alla restrizione della concorrenza in Europa Orientale, sia la questione dei procedimenti autorizzativi di South Stream.

La visita del presidente Putin di fine gennaio si preannuncia ricca di impegni.

L’inevitabile multipolarismo

I primi dieci produttori mondiali di petrolioSi chiude l’anno e come sempre l’imminente cambio di data offre la scusa per fare qualche riflessione sul futuro. La previsione è facile: il 2014 sembra destinato a proseguire la tendenza verso un assetto multipolare del sistema internazionale.

Chiaro, il superamento dell’unicità statunitense non è cosa dell’anno che viene. E nemmeno del decennio in corso. È però una traiettoria inevitabile: il sistema internazionale non sembra amare le situazioni di squilibirio e difficilmente farà eccezione per lo zio Sam.

Che poi, il multipolarismo cos’è? La coesistenza di tre o più grandi potenze in grado di perseguire autonomamente un’agenda a livello internazionale. Anche se con gradi diversi a seconda dei contesti regionali (la geopolitica non è solo il regno dei ciarlatani), il numero di attori in grado di contrapporsi agli interessi statunitensi è in aumento.

Le ricadute sui mercati dell’energia sono difficilmente prevedibili. I grandi mercati globali, tra cui quello petrolifero, si sono sviluppati grazie all’interesse degli Stati Uniti. Il loro relativo indebolimento non corrisponde però necessariamente al venir meno delle condizioni di funzionamento dei mercati globali, perché anche per gli attori emergenti rappresentano una modalità di approvvigionamento efficiente.

In questo contesto, la posizione dei produttori petroliferi (e in misura minore, di gas) è più forte. Perché come l’aumento del numero di produttori aumenta la sicurezza delle forniture, così  un moltiplicarsi dei consumatori offre maggiori garanzie che la produzione trovi un mercato.

Diverso è invece il discorso delle dinamiche complessive di prezzo e della preoccupante dipendenza di molti Paesi produttori da alte quotazioni del greggio. Per i governi che fanno spesa pubblica soprattutto grazie alle rendite petrolifere, una contrazione delle quotazioni può infatti voler dire instabilità.

Forse di questo fenomeno troveremo qualche esempio nel 2014.

Ecco rischi e priorità della politica energetica italiana

Ecco rischi e priorità della politica energetica italianaFormiche ha pubblicato un estratto a mia firma dal rapporto “La visione strategica della leadership italiana”, a cura dell’Istituto Machiavelli e dell’Ispo, che sarà presentato il 10 dicembre all’Hotel Jumeirah, a Roma.

L’Italia è storicamente un grande importatore di energia. Le poche riserve di combustibili fossili e i limiti tecnologici allo sviluppo delle rinnovabili hanno infatti obbligato gli operatori nazionali a rivolgersi all’estero per soddisfare il crescente fabbisogno energetico che ha caratterizzato l’economia italiana tra il dopoguerra e gli anni Settanta. Dopo la traumatica esperienza dell’autarchia, l’accesso ai mercati internazionali ha così rappresentato un elemento essenziale dello sviluppo economico e sociale del Paese.
Anche nei decenni successivi, caratterizzati da tassi di crescita dei consumi inferiori, il ricorso alle importazioni ha in ogni caso rappresentato l’unico modo per avere accesso a quantitativi sufficienti di energia a prezzi economicamente sostenibili. I consumi energetici sono così potuti crescere in modo quasi ininterrotto fino a metà degli anni Duemila.

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Accordo con l’Iran: per ora pochi effetti sui mercati energetici

First Step Understandings Regarding the Islamic Republic of Iran’s Nuclear ProgramL’accordo tra l’Iran e le potenze mondiali (il 5+1) è stato raggiunto questa notte, dopo mesi di trattative altalenanti. Come riportato dai media, l’accordo prevede uno stop alle attività di arricchimento dell’uranio potenzialmente connesse a scopi bellici.

Quale sarà l’impatto sui mercati energetici, considerando che l’Iran è il quarto Paese al mondo per riserve di petrolio (157 miliardi di barili, 9,4% del totale) e il primo per riserve di gas (36.000 Gmc, 18% del totale)?

Nel breve periodo, l’impatto sul mercato petrolifero sarà molto limitato. In base agli accordi, l’Iran potrà mantenre gli attuali livelli di esportazione (1 milione di barili al giorno, contro i 2,5 di inzio 2012): nessuna improvvisa immissione sul mercato di nuovo greggio liquido, dunque, e nessuna pressione ribassista sulle quotazioni. Almeno per il momento e al netto della volatilità che la notizia potrebbe avere sui mercati dei prossimi giorni.

Nel caso del gas, l’impatto sarà nullo, perché in ogni caso l’Iran non ha effettuato investimenti sufficienti in capacità produttiva e di esportazione per portare sui mercati internazionali le sue enormi riserve con così poco preavviso. Anche in caso di sblocco completo delle sanzioni, occorreranno anni per avere effetti rilevanti sui mercati internazionali.

L’accordo resta in ogni caso un elemento molto positivo non solo per la stabilità regionale, ma anche per i mercati energetici, perché nel breve periodo riduce il rischio di interruzioni dei transiti nell’area del Golfo e nel medio-lungo periodo pone le condizioni per l’arrivo sui mercati energetici di nuova capacità produttiva in grado di far fronte alla crescente domanda asiatica. A vantaggio di tutti i consumatori, oltre che degli iraniani.

Southeast Asia Energy Outlook

IEA - WEO 2013 - Southeast Asia Energy OutlookCome da consuetudine, in occasione della pubblicazione del nuovo World Energy Outlook, la IEA ha rilasciato gratuitamente uno speciale, quest’anno dedicato al Southeast Asia Energy Outlook.

Dal 1990, i consumi energetici dei Paesi Asean sono aumentati di due volte e mezzo e i margini di crescita sono enormi, considerando che i 600 milioni di abitati dell’area hanno consumi procapite pari alla metà della media mondiale.

Tra il 2012 e il 2035, l’impatto previsto in termini di maggior domanda è pari ai consumi correnti del Giappone, tra cui 2,4 milioni di barili al giorno (un quinto di tutta la nuova domanda mondiale) e oltre 100 miliardi di metri cubi di gas all’anno.

Il combustibile della crescita sarà però il carbone, il cui consumo è destinato a triplicare al 2035. Tre quarti della nuova capacità di generazione elettrica in costruzione è infatti alimentata a carbone, la cui quota nella generazione passerà da un terzo a oltre metà del totale. Con buona pace delle solitarie follie europee sulle emissioni.

La nuova domanda di carbone e di gas sarà soddisfatta dalla produzione interna, ma ridurrà i volumi disponibili per le esportazioni (pur lasciando il saldo complessivo in attivo). A pesare sulla bilancia commerciale sarà invece la crescente dipendenza dalle importazioni di petrolio, che nelle proiezioni saliranno da 1,8 a 5,5 milioni di barili al giorno, per un passivo stimato in 250 miliardi di dollari all’anno (4% del PIL).

A quanto pare, l’eventuale indipendenza energetica americana non dovrebbe lasciare i produttori mediorientali senza clienti.

Il valore relativo dei livelli di produzione

Come tempestivamente riportato da Silendo, l’EIA statunitense ha pubblicato le stime relative alla produzione di petrolio e gas naturale per il 2013. Impressionante la prestazione degli Stati Uniti, che diventano il primo produttore mondiale di idrocarburi.

U.S. expected to be largest producer of petroleum and natural gas hydrocarbons in 2013

La crescita della produzione statunitense, grazie soprattutto al non convenzionale e all’attività dei piccoli operatori, è notevole.

Il dato deve tuttavia essere letto alla luce anche dei consumi interni e quindi della posizione dei singoli Paesi rispetto ai mercati internazionali.

INGRANDISCI - Esportazioni nette di petrolio (scuro) e gas naturale (chiaro) nel periodo 1986-2012, in milioni di tonnellate equivalenti di petrolio - Elaborazione su dati BP 2013

Nonostante la crescita della produzione interna, gli Stati Uniti restano un importatore netto. L’impatto della crescita è dunque meno destabilizzante per i mercati internazionali, soprattutto se letto in combinazione con il dato relativo alla Cina, che mostra come il Paese stia affrontando un rapido peggioramento del saldo netto. La minore domanda di importazione statunitense è di fatto compensata dall’aumento delle importazioni cinesi.

Esportazioni nette di petrolio (scuro) e gas naturale (chiaro) cinesi nel periodo 1986-2012, in milioni di tonnellate equivalenti di petrolio - Elaborazione su dati BP 2013

In conclusione, l’aumento di produzione statunitense rappresenta un’ottima notizia per l’economia americana e i primati mondiali rappresentano un’occasione per titoli accattivanti, però l’effetto complessivo sui mercati energetici globali è rilevante ma non rivoluzionario.

PS: Qui il file excel coi dati.