Greggio in discesa: e i bilanci pubblici?

Segnalo un bel pezzo dell’Economist dal titolo Cheaper oil. Winners and losers. L’articolo affronta con chiarezza l’impatto della discesa delle quotazioni del greggio, sia sui consumatori, sia sui produttori.

Particolarmente interessante l’infografica, di cui riporto la parte più significativa: il prezzo del petrolio a cui i bilanci pubblici di alcuni grandi esportatori raggiungono il pareggio.

Government budget's break-even oil price (© The Economist 2014)

Iran, Bahrain, Ecuador, Venezuela, Algeria, Nigeria e Iraq sembrano essere particolarmente esposti. La Russia, invece, lo è meno, per diverse ragioni: un livello di pareggio più basso, riserve valutarie più ampie, margine di svalutazione del rublo (che compensa il minor valore delle esportazioni di greggio), spesa pubblica più facilmente modulabile (tagliando la spesa militare).

Tuttavia il grafico mostra solo il livello di prezzo, ma non considera due variabili chiave: le quantità esportate e il tempo. Quest’ultimo fattore è in realtà quello determinante: se si supera l’anno e mezzo, anche la Russia rischia di non reggere economicamente.

Ma in un anno e mezzo di cose ne succedono tante. Chiedere a Yanukovich, per esempio.

Settore petrolifero russo: una sintesi

CIEP - Factual information on oil pipelines, gas pipelines and gasflows from Russia to EUPer chi avesse bisogno di farsi rapidamente un’idea del settore oil&gas russo e dei rapporti con l’Europa, senza perdere troppo tempo o affidarsi a fonti di dubbia origine, segnalo un paio di schede realizzate dal Clingendael International Energy Programme (CIEP).

Una scheda è dedicata al , l’altra al . Per uno sguardo più ampio al settore energetico russo, segnalo invece la scheda dell’Energy Information Administration statunitense.

Prezzi del greggio: continua la discesa

Reuters - UPDATE 2-IEA sees 2015 oil demand growth much lower, supply hitting pricesGuai in vista per i Paesi produttori la cui stabilità finanziaria dipende dalle esportazioni di greggio. E che potrebbero vedere diminuire ancora il valore della loro produzione: in questi giorni le quotazioni del Brent sono scese stabilmente sotto i 90 dollari, dopo aver toccato in giugno i 115 dollari ed essere stabilmente sopra i 100 dal 2011.

Tre le cause principali: sul lato dell’offerta, il boom del non convenzionale statunitense. Sul lato della domanda, il rallentamento della crescita globale e il dollaro forte, che penalizza tutti gli importatori (tranne quelli che stampano dollari).

Tanto che la IEA ha tagliato del 20% le proprie stime di crescita della domanda per il 2015. Il calo dei prezzi quindi non sembra essere ancora abbastanza marcato da stimolare un aumento significativo della domanda.

E nemmeno da far scattare una riduzione della produzione OPEC per stimolare una crescita dei prezzi a causa della scarsità. I Paesi del cartello sembrano infatti più impegnati a difendere i volumi di esportazione che non ad alterare i prezzi di mercato, approfittando dei costi di produzione mediamente più bassi rispetto agli altri Paesi.

La situazione potrebbe continuare fino alla soglia degli 80 dollari al barile, quando invece tagliare i volumi per aumentare i prezzi potrebbe tornare a essere profittevole per i Paesi OPEC.

Intanto però a rimetterci sarebbero soprattutto due categorie. Da un lato, i produttori con costi molto alti, come quelli statunitensi e canadesi da non convenzionale. Dall’altro, i Paesi produttori con le finanze pubbliche più a rischio.

In particolare, tra i Paesi OPEC il Venezuela è particolarmente sensibile alla questione, tanto da aver proposto di anticipare il prossimo incontro ufficiale dell’organizzazione, previsto per il 27 Novembre. Le finanze venezuelane rischiano davvero di non riuscire a reggere il colpo di una riduzione dei prezzi, soprattutto con una produzione in costante declino e con 5,2 miliardi di dollari di prestiti in scadenza nel solo mese di ottobre.

Se i sauditi sceglieranno di non reagire, lasciando scendere ancora i prezzi e rendendo strutturale il calo, i problemi potrebbero emergere anche per altri Paesi. A cominciare da Algeria e Russia, che hanno impostato i rispettivi bilanci pubblici per il 2015 sulla base di prezzi intorno ai 100 dollari. E che potrebbero trovarsi a dover fare tagli dolorosi alla propria spesa pubblica, al pari di parecchi Paesi nel Golfo.

E per noi? Dipende. L’impatto sull’Italia sarebbe positivo in quanto Paese importatore (30 miliardi di euro nel 2013), perché la riduzione dei prezzi potrebbe bilanciare il deprezzamento dell’euro rispetto al dollaro. Ma sarebbe anche potenzialmente negativo come Paese esportatore, soprattutto se la crisi dovesse indebolire la domanda di merci italiane nei Paesi del Golfo e in Russia.

I consumi di gas in Italia: andamento stagionale e importazioni

La stagione invernale è alle porte e, come ogni anno, i consumi di gas conosceranno il consueto aumento. Per comprendere rapidamente la portata del fenomeno, qualche grafico è la soluzione migliore (l’unità di misura sono i Mmc).

Andamento della domanda mensile di gas in Italia (2004-2014)In febbraio i consumi sono solitamente più del doppio di quelli di agosto. Questa variabilità è gestita attraverso due strumenti: gli stoccaggi e la modulazione delle importazioni. I quindici siti di stoccaggio italiani sono riempiti d’estate (tenendo la domanda più alta del consumo immediato) e svuotati d’inverno, aumentando l’offerta ben oltre la capacità di importazione e di produzione disponibili (e agendo di fatto come un’importazione differita).

Composizione dell’offerta mensile sul mercato italiano (2004-2014)Le direttrici di importazione sul mercato italiano sono essenzialmente quattro: Russia, Nord Europa (Olanda e Norvegia), Nord Africa (Algeria e Libia) e GNL (Qatar e altri). La Russia e il Nord Africa rappresentano la parte più importante, sia in termini di portata delle condotte, sia in termini di flussi effettivamente importati.

Negli ultimi due anni però i flussi dalla Russia hanno visto crescere il proprio ruolo, mentre i flussi nordafricani hanno perso di importanza, sia per l’instabilità in Libia, sia per una scelta coordinata con l’Algeria di ridurre temporaneamente i flussi.

Importazioni mensili italiane di gas per direttrice (2012-2014)I dati relativi alla prima decade di ottobre evidenziano un ritorno alla crescita dei flussi dalla Russia, di nuovo primi davanti ai consistenti flussi dal Nord Europa. Sempre bassi invece i volumi dal Nord Africa e in moderato recupero quelli via GNL.

Nel complesso il Nord Europa sta esprimento il massimo del potenziale, mentre la Russia conferma il proprio ruolo di asse portante della modulazione delle importazioni italiane.

Un ruolo che in caso di crisi in Ucraina dovrebbe invece almeno in parte svolgere la produzione algerina, che rappresenza la parte più consistente e affidabile dei flussi nordafricani.

Oltre che degli accordi sul fronte orientale, dunque, la priorità per il decisore politico nazionale è senza dubbio quella di garantire che la nostra “opzione B” resti affidabile. Sia dal punto di vista tecnico, sia in termini di stabilità politica.

EU: i costi della sicurezza energetica

ISPI - EU: i costi della sicurezza energeticaL’ISPI ha appena pubblicato la quinta uscia del dossier Crisi ucraina: come cambia il mondo, dal titolo I rischi per il mercato dell’energia. L’uscita è composta da un background su L’interdipendenza energetica Russia-Ue e un commentary dal titolo I limiti della Russia passano da energia e sanzioni, entrambi di Diana Shrendikova, e un commentary dal titolo Emergenza gas? Il ruolo dello stoccaggio in Italia, di Antonio Sileo.

A completare il dossier, il mio commentary EU: i costi della sicurezza energetica, che a dispetto del titolo è dedicato a fare il punto sulla situazione della trattativa russo-ucraina sul Winter Package.

Ucraina: 5 miliardi dall’Occidente per garantire i flussi?

RIA Novosti - Prodan: Ukraine, Russia Disagree on Gas Payment Schedule, Final Deal Still on TableLa negoziazione sul Winter Package è ancora in corso e si chiuderà probabilmente questa settimana. Iniziano tuttavia a essere più chiari i termini e le cifre in gioco.

Inizialmente – almeno al sottoscritto – non erano apparsi chiari i termini del possibile accordo. A un’analisi più approfondita delle diverse dichiarazioni, tra cui quelle del ministro ucraino dell’energia Prodan, emerge come la cifra che il governo ucraino complessivamente dovrebbe pagare quest’anno sia di almeno 5 miliardi di dollari.

Un totale di 3,1 miliardi sarebbero pagati in due o più tranches, a titolo di estinzione del debito. Si tratta di un cifra corrispondente alla valutazione del debito fatta dalla parte ucraina e che sarebbe dovuta anche in caso di una decisione favorevole a Kiev al termine dell’arbitrato.

A questa cifra si aggiungerebbero 1,925 miliardi di dollari per la fornitura di 5 Gmc a un prezzo di 385 dollari/kmc, da pagare anticipatamente rispetto alla consegna. Un eventuale ulteriore consegna di 2 Gmc, indicata come necessaria da Miller, aggiungerebbe 770 milioni, portando i pagamenti per il gas da consegnare a 2,695 miliardi e il conto totale a 5,795 miliardi. Il tutto nei prossimi tre mesi.

Oltre alla cifra complessiva, le parti divergono però anche sull’ordine con cui effettuare i pagamenti: Kiev vorrebbe prima pagare il gas in anticipo e poi iniziare a saldare il debito. Gazprom sembra invece inamovibile nel voler ricevere almeno una prima tranche di pagamento del debito, prima di accettare il pre-pagamento del gas e quindi iniziare le consegne.

Per i governi europei, la paura è che questo sia solo l’inizio di un’emorragia finanziaria necessaria a sostenere il governo di Kiev, sembre più debole economicamente. Paura che temo risulterà fondata.