Gli effetti dell’accordo Usa-Iran su petrolio e gas

Gli effetti dell’accordo Usa-Iran su petrolio e gasSegnalo una mia intervista uscita oggi su Formiche.net, di cui propongo di seguito l’incipit.

Quanto ci vorrà per il rientro dell’Iran nel mercato petrolifero?
Se tutto andasse come previsto, i primi volumi veri li vedremo a gennaio dell’anno prossimo. Questo perché lo sblocco vero delle attività è previsto dopo il 15 dicembre. Dopo i primi due trimestri del 2016 si potrà fare un primo bilancio. Le stime oscillano tra i 500mila e 1 milione di barili nel 2016, ma è plausibile che si attestino sugli 800mila le più plausibili.

Da cosa dipenderà?
In primo luogo dal tempo che servirà per rendere di nuovo efficienti molti pozzi, che ora non sono in buone condizioni dopo il lungo stop.

L’Iran rivedrà le formule contrattuali, come gli chiedono le big oil?
Probabile, ma ci vorrà un po’ di tempo. Gli effetti sulla produzione difficilmente si vedranno prima non prima di 5 anni minimo. I nuovi contratti andranno infatti a regolare i rapporti per i nuovi giacimenti, non per quelli già operativi.

Il resto dell’intervista è accessibile qui.

Gazprom rescinde i contratti di Saipem per Turkish Stream

Bloomberg - Saipem Lost Gazprom Contract on Black Sea Link Over DisputesGazprom ha comunicato di aver rescisso i contratti con Saipem per la costruzione della prima linea del gasdotto Turkish Stream. L’annuncio è arrivato ieri sera, dopo che lunedì era già trapelata una prima indiscrezione circa il blocco dei contratti di fornitura di una parte dei tubi necessari alla costruzione del gasdotto.

Il contratto di Saipem ha una valore di due miliardi di euro e ha visto il coinvolgimento di due posatubi della flotta, Castoro Sei e Saipem 7000, attualmente ancora dislocate nel Mar Nero. Originariamente destinate a costruire la prima linea di South Stream e dopo la cancellazione del progetto sarebbero rimaste nell’area a disposizione di Gazprom (a fronte di un pagamento da 25 milioni di euro al mese). Nei giorni scorsi, Castoro Sei si è recata in prossimità del porto di Anapa, sulle coste russe (da dove dovrebbe partire il nuovo gasdotto diretto in Turchia), lasciando presagire un imminente avvio dei lavori.

Gazprom ha dichiarato di essere alla ricerca di un’altra compagnia per effettuare il lavoro di posa, confermando di voler continuare la costruzione. La prospettiva di un rinvio della costruzione a quest’autunno (nella migliore delle ipotesi) era stata ventilata nei giorni scorsi e appare così confermata.

A pesare sulla tempistica della costruzione del Turkish Stream è stato il fatto che il governo russo e quello turco non siano ancora riusciti a trovare un’intesa sullo sconto da applicare alle forniture dirette a BOTAS, la compagnia statale di Ankara. La prima linea del gasdotto dovrebbe infatti interamente servire il mercato turco e la costruzione non può partire fintanto che non si è giunti a un’intesa definitiva sul prezzo delle forniture.

Difficile dire in questa fase se la comunicazione a Saipem faccia parte di una strategia di Gazprom volta a rafforzare la propria posizione negoziale nei confronti dei clienti turchi e dei fornitori (Saipem inclusa, anche se l’ipotesi appare al momento remota), oppure si tratti di un cambio di strategia russo, volto a rafforzare i legami con la Germania attribuendo la priorità al progetto Nord Stream II a scapito di quello Turkish Stream. L’unica cosa certa è che la risposta alla domanda sta per iniziare la posa? è no, almeno per il momento.

Per quanto riguarda gli approvvigionamenti italiani, se la decisione fosse il preludio di un cambio di fornitore, non avrebbe alcun effetto. Ci riguarderebbe, invece, come azionisti di Eni e quindi di Saipem, ma non si tratterebbe più di una questione energetica.

Se la decisione fosse invece il preludio della scelta di non costruire nel medio periodo (5 anni) un nuovo gasdotto sotto il Mar Nero, la questione rilevante per l’Italia sarebbe quella di garantire la stabilità dei flussi in arrivo dalla Russia anche dopo la scadenza dei contratti per il transito in Ucraina (2019). Le opzioni sarebbero due: rinnovare i contratti per le infrastrutture esistenti, che richiederebbero investimenti per l’ammodernamento ma consentirebbero di far leva sulla debolezza negoziale ucraina, indebitata e dipendente dai finanziamenti occidentali.

Oppure utilizzare la Germania e l’Austria come Paesi di transito fino al Tarvisio, dopo aver aumentato la capacità in arrivo via Nord Stream (e aver consacrato definitivamente il ruolo della rete tedesca come perno di tutto il sistema europeo). A questo punto però si porre la questione dell’adeguatezza del sistema produttivo e di trasporto russo a convogliare i volumi sufficienti al punto di partenza del Nord Stream. Scelta tecnicamente fattibile, ma finanziariamente impegnativa, anche considerando che parte degli investimenti sul Corridoio meridionale (quello destinato a fornire il Turkish Stream) sono già stati effettuati.

Insomma, la questione si complica ulteriormente. E su questo fronte, i russi sono maestri.


Aggiornamento: sulla questione, segnalo un interessante articolo di Sissi Bellomo sul Sole24Ore.

Turkish Stream: sta per iniziare la posa?

Dopo mesi di stasi, qualcosa si muove nel Mar Nero. Secondo quanto riportato da MarineTraffic, la nave posatubi di Saipem Castoro Sei si è messa in navigazione, lasciando le acque del porto di Burgas, dove si trovava dall’anno scorso.

MarineTraffic - Castoro SeiSi trova invece ancora ferma nelle acque del porto di Burgas un’altra nave posatubi, la Saipem 7000.

MarineTraffic - Saipem 7000

La Castoro Sei era stata in passato impegnata nella posa del Nord Stream, mentre la Saipem 7000 era stata impegnata nella costruzione di Blue Stream. Le due navi erano state destinate da Saipem alla realizzazione della prima linea del South Stream, in base al contratto da 2 miliardi di euro (più uno da 400 per la seconda linea) siglato con il consorzio e poi congelato a causa della cancellazione del progetto.

Dopo la cancellazione del South Stream, che avrebbe dovuto portare il gas russo direttamente in Bulgaria e che fu abbandonato a inizio dicembre 2014, le due navi erano rimaste nelle acque del porto di Burgas, in attesa di disposizioni. Nel porto bulgaro sarebbero anche stoccati una parte dei tubi destinati alla posa sul fondo del Mar Nero.

Il movimento della Castoro Sei potrebbe essere un segnale di inizio delle attività di costruzione del Turkish Stream, il gasdotto che dovrebbe collegare la Russia alla Turchia europea, con caratteristiche molto simili al South Stream. Dopo l’acquisizione da parte di Gazprom del 100% del consorzio South Stream, la costruzione del Turkish Stream – anch’esso 100% Gazprom – assorbirebbe il materiale e le obbligazioni contrattuali del progetto abbandonato.

Gazprom - Turkish Stream

MarineTraffic - Castoro Sei, rotta

Il Turkish Stream avrebbe peraltro un tracciato molto simile al South Stream, a parte l’ultimo tratto, deviato verso Sud per l’approdo in Turchia. La Castoro Sei si starebbe in effetti dirigendo verso il centro del Mar Nero: se nelle prossime settimane l’operatività della nave nell’area dovesse continuare, le operazioni preliminari di posa dei tubi potrebbero essere davvero iniziate. In linea peraltro con quanto dichiarato da Gazprom, che nei mesi scorsi ha annunciato l’avvio a breve della costruzione del gasdotto.

Aggiornamento (04/06/2015 – 16:00)

La Castoro Sei si trova a metà del Mar Nero, diretta verso le coste russe. In particolare, sempre secondo quanto riportato da MarineTraffic, la nave sarebbe diretta verso il porto di Anapa, vicino al punto da cui è prevista la partenza del Turkish Stream.

MarineTraffic - Castoro Sei verso AnapaLa Castoro Sei dovrebbe raggiungere il porto di destinazione lunedì prossimo, il 6 luglio.

MarineTraffic - Castoro Sei, scheda

IEA: la mappa delle misure contro il cambiamento climatico

IEA - Addressing climate change: policies and measures databL’attenzione alle misure di contenimento delle emissioni climateranti continua a crescere, in vista della COP21 di dicembre a Parigi. Nel 2009, all’epoca della COP15 di Copenhagen, molti Paesi assunsero obiettivi vincolanti. I più ambiziosi furono senza dubbio quelli dell’UE, che adotto il pacchetto 20-20-20.

L’ambizione europea era quella di fare i primi della classe e tracciare con l’esempio la strada anche per le altri grandi economie. Tuttavia, finora la “virtuosità” europea è rimasta un fenomeno isolato: mentre le emissioni europee continuano a diminuire (soprattutto a causa della crisi) e quelle statunitensi si sono stabilizzata (grazie al gas da argille che ha sostituito il carbone), nel resto del mondo aumentano quasi ovunque.

Per avere un’idea del quadro completo, segnalo il database pubblicato dalla IEA, con tutti i dati relativi alle emissioni climateranti e agli obiettivi di riduzione delle emissioni dei Paesi che li hanno fissati per legge (in verde nella cartina).