Eastmed: annunciato l’accordo, ma restano molti dubbi

EastmedLa stampa israeliana – ripresa anche dall’Agenzia Nova e dal Corriere della Sera, tra gli altri – ha annunciato un accordo da formalizzare entro tre mesi tra Italia, Grecia, Cipro e Israele per la costruzione del gasdotto Eastmed, che dovrebbe trasportare fino a 15 Gmc all’anno dal Bacino del Levante fino all’Italia, transitando per Cipro, Creta e la terraferma greca.

Lungo 1.700 km, il gasdotto dovrebbe costare oltre 7 miliardi di dollari, secondo quanto riportato dai media. Annunciato anche un contributo della UE di 100 milioni di euro per lo studio di fattibilità, che si aggiungerebbero ai 2 milioni già erogati in passato per gli studi pre-FEED.

Molti dubbi restano sia sulla sostenibilità finanziaria dell’operazione (tralasciando i problemi legati alle possibili dispute politiche tra Cipro e Turchia), perché il gas prodotto nella regione e i costi del trasporto via tubo non sarebbero competitivi coi prezzi del mercato europeo. A meno che non intervengano sussidi a far quadrare i conti dell’operazione, anche se non appare chiaro al momento chi potrebbe farsene carico.

All’esportazione via tubo dal Bacino del Levante [per una panoramica della situazione nell’area, suggeriamo la lettura di questo studio] esiste peraltro un’alternativa economicamente vantaggiosa: l’utilizzo dei terminali di liquefazione egiziani (Idku e Damietta), al momento fermi per mancanza di gas e che – anche considerando lo sfruttamento a regime di Zohr – offrirebbero capacità residua anche per le esportazioni israeliane. In questa direzione andavano anche gli accordi siglati a inizio anno tra l’egiziana Dolphinus Holdings e l’israeliana Noble per l’esportazione in Egitto di gas israeliano, per un controvalore di 15 miliardi di dollari in dieci anni.

In ogni caso, anche se il tubo effettivamente si facesse (cosa che al momento continua ad apparire molto dubbia) e dovesse effettivamente far arrivare un secondo tubo sulle coste pugliesi (dossier politicamente molto delicato), l’Eastmed – coi suoi 15 Gmc – non avrebbe un impatto significativo sulla struttura dell’approvvigionamento europeo: basti pensare nel 2017 le importazioni UE sono state pari a 360 Gmc, di cui 155 dalla Russia.

Diverso il discorso se guardiamo alla sola Italia, che importa 65 Gmc all’anno e vedrebbe così sensibilmente aumentare la diversificazione degli approvvigionamenti. Resta tuttavia la questione del prezzo: l’eventuale gas di Eastmed potrebbe essere competitivo coi fornitori storici (Russia, Algeria, Libia, Norvegia, tutti con infrastrutture già ammortizzate) e con TAP (i cui volumi sono stati tutti già comunque venduti per i prossimi 25 anni)? Molto difficile. Occorrerà tuttavia aspettare i dettagli dell’annunciato accordo, se e quando arriveranno, per avere una risposta.

Lo scontro israelo-palestinese e il gas nel bacino del Levante

off-shore-drilling-2In questi giorni sono apparsi alcuni articoli (il Manifesto, il Tempo) in cui si sottolinea che tra le cause dell’attuale intervento militare israeliano nella Striscia di Gaza ci sarebbe anche la volonta di Tel Aviv di impedire che Hamas sfrutti i giacimenti di gas che si trovano di fronte alla sua costa.

L’idea, si sostiene, è che Israele se ne vorrebbe impadronire perchè bisognosa di energia e perchè vorrebbe evitare che Hamas entri in possesso di questa fonte di reddito, con cui potrebbe acquistare armi.

Potrebbe anche darsi. In effetti ci sono giacimenti come quello di Mary-B che si trovano molto vicino al confine con le acque rivendicate dai palestinesi e che sono attualmente in via di sfruttamento da parte israeliana. E potrebbe anche essere che con i proventi del gas Hamas potrebbe comprare dei missili o altro.

Ma ancora una volta è soprendente la pressapochezza di certi giornalisti. In primo luogo, le riserve stimate di Marine 1 e 2, i due giacimenti di fronte a Gaza, sono briciole a confronto di Leviathan e Tamar: 30 Gmc, contro 700 Gmc. Secondo, Leviathan e Tamar sono ben distanti, circa un centinaio di chilometri. Quindi non c’entrano nulla con i giacimenti antistanti Gaza.

In sostanza, gli israeliani hanno già scoperto abbastanza gas per coprire i loro consumi per molti decenni a venire e stanno negoziando con Cipro e i turchi per sfruttare economicamente le riserve del bacino del Levante. La crisi di Gaza mi sembra invece che c’entri poco o niente con il gas, quanto semmai con il timore israeliano di un riavvicinamento tra Hamas e Al-Fatah.

Edison e l’offshore israeliano

Reuters - UPDATE 1-Italy's Edison in talks to buy two Israeli gas fieldsEdison sarebbe in trattative per l’acquisizione delle licenze relative a due piccoli giacimenti di gas nelle acque israliane, Tanin e Karish, secondo quanto riportato da Reuters. I due giacimenti hanno risorse stimate tra 50 e 70 Bcm e fanno parte del cosiddetto Bacino del Levante.

I giacimenti sono attualmente di proprietà della statunitense Noble Energy e dell’israeliana Delek Drilling, che però devono disinvestire per evitare di essere accusati di formare un cartello da parte dell’antitrust.

Edison, controllata dalla francese EDF, è già presente nell’area e sta esplorando i siti di Neta e Roi. Le trattative per l’acquisizione di Tanin e Karish procedono però a rilento, perché la normativa israeliana impone oneri molto pesanti, tra cui la realizzazione di infrastrutture e i vincoli alle esportazioni, e si attendono revisioni.

Data la dimensione modesta dei giacimenti, inoltre, anche un’eventuale acquisizione non avrebbe un impatto significativo sui mercati e richiederebbe senza dubbio sinergie con altri operatori per commercializzare il gas fuori da Israele.

Gas siriano? Arriva Soyuzneftegaz

FT - Russia advances into the MediterraneanLa Russia prosegue il consolidamento della propria posizione nell’area mediorientale. E lo fa sfruttando il proprio rapporto speciale con il governo siriano, sopravvissuto alle ribellioni e alle minacce statunitensi proprio grazie all’intervento di Mosca.

Nei giorni scorsi Soyuzneftegaz ha siglato un contratto per i diritti esclusivi di esplorazione per 2.190 kmq nelle acque territoriali siriane, per 25 anni. Si tratta del primo contratto in assoluto per l’esplorazione della sezione siriana del Bacino del Levante.

La consistenza delle riserve siriane offshore è ignota, ma sotto le acque di Israele, Libano e Cipro si trovano riserve di gas per oltre 1.000 Gmc. È altamente probabile che anche la sezione siriana contenga riserve rilevanti, che si andranno a sommare alle modeste riserve onshore (285 Gmc).

Soyuzneftegaz, controllata dalla Banca Centrale russa, investirà 100 milioni di dollari nelle operazioni. Il governo russo sta così capitalizzando i propri rapporti con Damasco, allargando le prospettive della propria presenza economica nell’area.

In un contesto altamente instabile e rischioso, gli operatori russi possono infatti godere dell’efficace azione diplomatica russa e di un rischio politico più contenuto rispetto ai concorrenti, almeno fintanto che Mosca continuerà a godere dell’ampia liquidità dovuta alle alte quotazioni del greggio.

A differenza soprattutto degli operatori occidentali, quelli russi possono inoltre puntare a una penetrazione dei mercati mediorientali, la cui domanda energetica è in rapida espansione.

L’impatto sui mercati internazionali della maggiore presenza russa nell’upstream mediorientale potrebbe essere nel complesso positivo. L’azione politico-economica russa potrebbe infatti sviluppare capacità produttiva che in alternativa resterebbe sottoutilizzata.

In questo modo si darebbe un contributo allo sviluppo economico della regione. Inoltre, se la produzione russa si espandesse significativamente, si libererebbero volumi per soddisfare la domanda internazionale, sempre più grande e sempre più asiatica. Con effetti positivi sui mercati internazionali.

Aggiornamento: la notizia è ripresa con qualche dettaglio in più su Natural Gas Europe.