Energia e privatizzazioni: chi ha i soldi compra, chi non li ha vende

SE - Snam e Terna? Al 10% saranno del Governo cineseI fatti: CDP ha ceduto al governo cinese una partecipazione del 35% in CDP Reti, che a sua volta controlla circa il 30% di Snam Rete Gas e (tra poco) il 29,85% di Terna. Facendo una (impropria) moltiplicazione, 35% del 30%, a fronte di un esborso di circa 2 miliardi la quota in mano al governo cinese sarebbe di poco inferiore al 10,5%.

Abbastanza per farsi notare, ma decisamente troppo poco per comandare. Ma in fondo, che è successo? Il governo ha deciso molto cautamente di fare quel che si invoca da anni, ossia ridurre ulteriormente il perimetro della partecipazione pubblica nell’economia. Altrimenti detto, privatizzare.

Il processo di privatizzazione nel settore energetico è vecchio di almeno venti anni, quando si iniziò a trasformare in società per azioni Eni ed Enel e collocarne quote crescenti sul mercato. Fino ad arrivare a oggi, dove il governo controlla le due aziende con una quota di minoranza, del 31,2% nel caso di Enel e del 30,1% nel caso di Eni (di cui il 25,76% tramite CDP).

In tutto questo, il governo cinese ha già una quota di poco più del 2% nelle due aziende e potrebbe aumentare la partecipazione, soprattutto in caso di ulteriori dismissioni (5%?).

La ragione è abbastanza chiara: i decisori politici cinesi si trovano a gestire un eccesso di liquidità dovuto agli attivi di bilancia commerciale e utilizzano le riserve disponibili per acquisire partecipazioni di minoranza in ogni angolo del globo. Lo scopo è essenzialmente quello di diversificare il rischio che garantisca il mantenimento del valore del capitale nel tempo.

E i Paesi in crisi e a corto di liquidità, come l’Italia o la Grecia o la Spagna, offrono buone opportunità di investimento, a volte a prezzi d’occasione. E chi ha i soldi compra, chi non li ha vende. Domanda e offerta, tutto qui.

PS: Faccio notare, a latere, che a differenza di quanto ipotizzato a inizio anno, la cessione ai cinesi della partecipazione in CDP Reti non ha riguardato CDP Gas, che controlla il gasdotto TAG. Quello che trasporta attraverso l’Austria tutto il gas russo in arrivo al Tarvisio, per intenderci.

Snam e Terna? Al 10% saranno del Governo cinese

Sole24Ore-  Finanza e Mercati In primo piano Cdp, trattativa avanzata con State Grid of China per 35% Cdp reti Secondo una nota diffusa oggi, sarebbe in fase di chiusura la trattativa tra Cassa Depositi e Prestiti (CDP) e la State Grid International Development Limited, una controllata del Governo cinese, per la cessione del 35% di CDP Reti.

CDP Reti a sua volta controlla il 30% di Snam Rete Gas, ossia il pacchetto di maggioranza dell’operatore che gestisce la trasmissione del metano in Italia. Inoltre, secondo gli accordi, prima della cessione sarebbe previsto il trasferimento a CDP Reti anche del pacchetto di controllo del 29,85% di Terna, il gestore e principale proprietario della rete di trasmissione nazionale (“RTN”) di energia elettrica ad alta tensione.

Secondo quanto riportato da Repubblica, l’operazione varrebbe circa 2 miliardi di euro e sarebbe solo la prima fase di un più ampio piano di dismissioni, che dovrebbe portare alla cessione del 5% di Enel e di Eni. L’obiettivo è fare cassa (6 miliardi) senza perdere il pacchetto di controllo delle due multinazionali.

La cessione delle reti è però una questione diversa: a differenza degli operatori, le infrastrutture energetiche rappresentano un elemento chiave per la sicurezza nazionale. Un loro malfunzionamento – accidentale o intenzionale – avrebbe infatti conseguenze molto gravi, anche se di breve durata.

La cessione del pacchetto di CDP Reti, riguardando una partecipazione di minoranza e di fatto un investimento finanziario, fortunatamente non rappresenta una minaccia per la sicurezza energetica nazionale. Si tratta tuttavia di un chiaro indicatore del mutamento dei rapporti di forza a livello internazionale, fattore del quale occorrerà sempre più tenere conto.

Aggiornamento: con una nota del 30 luglio CDP ha annunciato che il proprio consiglio di amministrazione «ha approvato la cessione di una quota del 35% del capitale sociale di CDP RETI Spa, per un corrispettivo non inferiore a 2.101 milioni di euro, a State Grid International Development Limited (SGID), società interamente controllata da State Grid Corporation of China».

Russia e Cina siglano l’accordo sul gas

FT - China and Russia sign gas dealCome ampiamente riportato dai media (FT, RIA, Reuters, Xinhua), la russa Gazprom e la cinese CNPC sono giunte a un accordo sulla fornitura di gas naturale via gasdotto (il costruendo Power of Siberia). Si tratta di un importante passaggio nella storia delle relazioni russo-cinesi, di grande valore politico oltre che economico.

L’accordo prevede volumi per 38 Gmc all’anno per 30 anni a partire dal 2018, per un totale di 1.140 Gmc. Il prezzo non è stato annunciato, ma secondo le dichiarazioni di Gazprom il valore atteso è di 400 miliardi di dollari, pari a 350 dollari ogni mille metri cubi. Si tratta di una cifra più o meno in linea coi prezzi pagati dai clienti europei dopo le recenti rinegoziazioni.

La cifra iniziale è però semplicemente una proiezione dei prezzi di partenza, ma non dice nulla sulla formula di calcolo del prezzo e dunque su come evolverà in futuro il controvalore dei flussi. Un altro elemento cruciale, sul quale è stato posto il segreto, è quello delle modalità di rinegoziazione.

Proprio la formula e le modalità di rinegoziazione hanno tenuto aperto fino all’ultimo un negoziato che, tra alti e bassi, andava avanti da un decennio. Anche se la crisi ucraina ha accelerato le cose, l’accordo era però inevitabilmente: la Russia ha le più grandi riserve al mondo e la Cina è il più grande consumatore al mondo di energia, in continua crescita.

Gazprom ha dichiarato un investimento previsto di 55 miliardi di dollari per il progetto, mentre da parte cinese si prevede un investimento di circa 20 miliardi di dollari. Per i russi si tratta di un’ottima diversificazione rispetto alla dipendenza dai clienti europei, mentre per i cinesi rappresenta una tassello importante della diversificazione dell’approvvigionamento, oltre che un vantaggio in termini di costo rispetto alle molto più costose importazioni di GNL.

Dal punto di vista europeo, non ci saranno in ogni caso conseguenze di rilievo. I giacimenti da cui proverrà il gas diretto in Cina (Kovykta e Chayandin) si trovano in Siberia Orientale, mentre il grosso dei volumi diretti verso l’UE proviene e continuerà a provenire dalla Siberia Occidentale.

Inoltre, i Paesi europei sono destinati a restare anche in futuro centrali per le attività di Gazprom: le esportazioni di gas russo nel 2013 sono state oltre i 120 Gmc, mentre a regime quelle annue verso la Cina saranno di 38 Gmc. Nulla da temere, se non l’ennesima conferma del fatto che il peso dell’Europa nell’economia globale continua a diminuire.

Gazprom - Developing gas resources and shaping gas transmission system in Eastern Russia - fonte: http://bit.ly/1jDmpis

Cina: nuove riserve di gas

Reuters - PetroChina makes huge gas find in Sichuan basin -CNPCSecondo quanto riportato da Reuters, PetroChina ha scoperto nuove riserve di gas naturale per oltre 300 Gmc nel bacino del Sichuan, nella Cina centro-meridionale.

Le nuove riserve saranno messe in produzione in due fasi: prima 4 Gmc/a, scalati poi a 10 Gmc/a a regime. Non sono state tuttavia fornite indicazioni su costi e tempistica.

È tuttavia probabile che le attività produttive saranno avviati al più presto per limitare la crescente dipendenza cinese dalle importazioni. Il governo cinese sta infatti puntando molto sullo sviluppo delle proprie riserve, stimate oggi 3.200 Gmc.

Un ruolo sempre più importante lo giocheranno i giacimenti di gas non convenzionale. Secondo le stime della EIA, quelle cinesi sono infatti le più grandi al mondo, con una totale tecnicamente recuperabile di 32.000 Gmc.

La Cina del futuro alle prese col syngas

ZOOM - China's gas supply infrastructureSecondo quanto riportato da Platts, il governo cinese ha annunciato l’intenzione di produrre 50 Gmc all’anno di gas da carbone (synthetic coal-to-gas, o syngas) entro il 2020.

Al netto della propaganda, la direzione dell’amministazione cinese appare chiara: la priorità è ridurre la crescente dipendenza dalle importazioni di materie prime energetiche, sia per ragioni economiche sia per ragioni di sicurezza.

I consumi di gas cinesi passeranno dai 186 Gmc previsti da Platts per quest’anno a 307 Gmc nel 2020 e 470 Gmc nel 2030, secondo le stime IEA. Per far fronte alla nuova domanda, il governo cinese punta a un netto incremento della produzione, che dovrebbe passare da 124 Gmc del 2014 a 178 Gmc nel 2020, a 218 Gmc nel 2030.

Il contributo del non convenzionale dovrebbe essere significativo solo dopo il 2020. Per l’immediato, invece, il syngas potrebbe giocare un ruolo importante. Le stime di CNPC, la compagnia di stato, sono però di soli 20 Gmc all’anno nel 2020, meno della metà della cifra del governo.

E anche questa stima potrebbe essere ottimistica: la produzione di syngas attesa nel 2014 è infatti di soli 2 Gmc. Le potenzialità tuttavia ci sono, considerando le ampie riserve di carbone a basso costo della Mongolia interna e dello Xinjiang (in totale, la Cina ha riserve pari al 13% del totale mondiale) e il fatto che la tecnologia è matura.

Il governo ha già autorizzato 15 impianti, che qualora fossero realizzati potrebbero portare la capacità massima di produzione annua a 81 Gmc. Sinopec ha già iniziato la costruzione di un primo impianto da 8 Gmc all’anno.

Composizione dell’offerta di gas naturale in CinaUna spinta ad accelerare la produzione di syngas potrebbe inoltre arrivare dal crescente inquinamento delle città più popolose sulla costa. Il syngas rappresenta infatti una valido sostituto all’uso diretto del carbone e degli oli e produrlo vicino ai centri di estrazione per poi portalo nelle città via tubo consentirebbe di delocalizzare l’inquinamento.

In ogni caso, anche se la produzione di syngas dovesse aumentare quanto annunciato dal governo, resterebbe il dato di fondo: la domanda cinese cresce molto più della capacità di produzione interna e dunque la Cina è destinata a dipendere sempre di più dai produttori più vicini, a cominciare da Asia Centrale e Birmania. Con quel che ne consegue in termini di politica estera.