Rallentamento cinese e mercati energetici

PIL cinese - variazione annua %Segnalo un interessantissimo post di Nick Butler sulle prospettive dei consumi energetici cinesi e sul loro impatto sui mercati internazionali e un post di Jérémie Cohen-Setton (Bruguel) sullo stesso tema.

Semplificando brutalmente, le stime di consenso per i prossimi decenni (IEA, AIE, BP, Shell, Exxon) sono tutte di una domanda cinese in continua espansione con ritmi comparabili a quelli dell’ultimo decennio. L’assunzione di base di questi scenari è che la crescita cinese continui con ritmi molto superiori alla media mondiale, ma ci sono parecchi segnali che la situazione sia destinata a essere molto più complessa e che i ritmi di crescita cinesi tenderanno inevitabilmente a contrarsi.

Il problema è che le attuali scelte di investimento risentono delle aspettative di una domanda energetica mondiale trainata da un import cinese in forte espansione, che però probabilmente crescerà meno del previsto. Il risultato? Un grosso rischio che il prezzo del barile imbocchi una tendenza alla contrazione, con effetti molto negativi sulle compagnie (peggio per loro) e per i Paesi produttori più dipendenti dalle esportazioni energetiche (e qui sorgono i problemi).

I limiti delle previsioni

FT - The World in 2040Con l’aumentare della complessità e dell’incertezza che caratterizzano il mondo (dell’energia e non), cresce la necessità di trovare un apparente conforto nelle previsioni e negli scenari dei ricercatori.

A gennaio BP ha aggiornato il proprio outlook al 2030, a marzo Shell ha pubblicato i New Lens Scenarios, a luglio la EIA ha pubblicato l’edizione 2013 del proprio International energy outlook e a novembre la IEA pubblicherà l’edizione 2013 del proprio World Energy Outlook.

Strumenti interessanti e ben confenzionati, ma intrinsecamente sbagliati. Come ha ben messo in luce Nick Butler, previsioni a trent’anni non fanno altro che proiettare il consenso degli addetti ai lavori oggi. Utili per capire le aspettative di oggi, ma incapaci (epistemologicamente, passatemi il termine) di cogliere l’ignoto che è destinato a verificarsi, nel settore energetico come in ogni altro settore.

Basta pensare ai cambiamenti tecnologici, economici, politici degli ultimi venti anni per giungere alla conclusione che molto spesso sia l’imprevedibile a essere maggiormente significativo. A cominciare dalla tecnologia, in continua e imponderabile evoluzione.

Come ricorda Butler, a metà anni ottanta di climate change non si parlava (bei tempi!), l’Asia centrale e il Causaso erano sovietici, la Cina era un Paese agricolo sottosviluppato con consumi petroliferi pari a quelli italiani, il fracking e la perforazione orizzontale erano tecniche esotiche.

Morale della favola? Una volta letti i vari scenari, la cosa più utile da fare potrebbe essere provare a pensare “cosa potrebbe andare storto”.

Il crepuscolo delle supermajor

Supermajordämmerung - The day of the huge integrated international oil company is drawing to a closeL’Economist di questa settimana non è tenero con le supermajor petrolifere, prevedendo per loro un futuro più mini e più votato al gas naturale. Probabile, le argomentazioni sono plausibili (leggere per credere).

La parte più interessante del discorso riguarda le previsioni di domanda petrolifera. Partendo dalle previsioni al 2030 di consumi a 100 milioni di barili al giorno (Mbbl/g), si enumerano tutti i fattori che potrebbero ridurre la crescita (concentrata fuori dall’OCSE, naturalmente).

In ordine di apparizione: l’aumento di efficienza cinese (-3,8 Mbbl/g), la metanizzazione dei consumi statunitensi per trasporto (-3,5 Mbbl/g), la riduzione dei consumi per generazione elettrica e dei sussidi in Medio Oriente e negli altri Paesi produttori (-3 Mbbl/g).

Sommando questi fattori, si potrebbe scoprire che forse il picco petrolifero è di domanda (e non di offerta, con buona pace dei nipotini di Malthus) e che arriverà prima dei 100 Mbbl/g (oltre che prima del 2030).

Conseguenze? Prezzi in discesa e Paesi produttori in difficoltà. A cominciare dalla Russia, visti i costi crescenti di produzione, e dai Paesi mediorientali, vista la mancata diversificazione delle economie.

In ogni caso, c’è solo una certezza: poche cose sono aleatorie come le previsioni sul settore petrolifero.