Il mercato britannico della capacità

IEW - The British capacity market: a hidden déjà vu?La penetrazione delle rinnovabili nel paniere elettrico europeo negli ultimi anni, oltre a causare un enorme trasferimento di ricchezza nella casse dei percettori dei sussidi, ha amplificato il rischio –  insito nei mercati liberalizzati – di un’insufficienza di investimenti in capacità di generazione disponibile.

In un quadro di incertezza, infatti, gli investitori di mercato possono non assumersi tutti gli oneri finanziari necessari a sviluppare e mantenere abbastanza capacità di generazione da soddisfare sempre la domanda finale, perché rischierebbero di ritrovarsi con degli impianti sotto-utilizzati e quindi anti-economici. Una condizione insostenibile se non si può scaricare direttamente sui consumatori il loro costo, come avveniva in regime di monopolio.

Allo stesso tempo, però, la disponibilità di energia elettrica in modo costante e affidabile è l’aspetto in assoluto più delicato per la sicurezza energetica delle società industrializzate, altamente dipendenti dall’elettricità sia per i processi produttivi, sia per gli apparati di telecomunicazioni.

Per questo, in un mercato liberalizzato è necessario che la collettività si faccia carico di remunerare degli operatori per mantenere operativi e disponibili impianti sufficienti a garantire che ci sia sempre capacità di riserva pronta a entrare in funzione per sopperire all’instabilità di altri produttori, in particolare di quelli da rinnovabili.

Il 16 dicembre scorso la Gran Bretagna è stato il primo Paese UE a tenere un’asta della capacità di generazione, lo strumento più efficace per allocare in modo efficiente i sussidi necessari a mantenere livelli minimi di capacità di generazione.

Su questo tema segnalo l’ottimo post di Simona Bendettini, The British capacity market: a hidden déjà vu?, che inaugura le attività dell’Osservatorio Energia dell’ISPI, l’ISPI Energy Watch.

Regno Unito: nuove licenze per il Mare del Nord

Produzione britannica di gas e petrolio (1970-2012)Il governo britannico ha lanciato un nuovo tender per le licenze di sfruttamento degli idrocarburi del Mare del Nord, aprendo nuove aree agli investitori. Due mesi fa il tender precedente ha portato alla concessione di 219 nuove licenze.

Il settore petrolifero è un contributore importante per il fisco britannico: i 36 progetti approvati nel 2013 hanno generato circa 6,5 miliardi di sterline (7,8 mld euro) di gettito e altri 5 miliardi di sterline (6 mld euro) di gettito stimato lungo la filiera. Il settore petrolifero britannico, inoltre, impiega 350.000 lavoratori, di cui quasi la metà in Scozia.

Il settore petrolifero britannico si è sviluppato intorno ai giacimenti del Mare del Nord, che tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta ha conosciuto un vero e proprio boom petrolifero: da 2 Mt nel 1975 a 80 nel 1980, fino al record di 165 nel 1986.

L’industria ha conosciuto una seconda giovinezza negli anni Novanta con il gas naturale, passato da una produzione intorno ai 40 Gmc negli anni Ottanta a 76 Gmc nel 1995, fino al record di 116 Gmc nel 2000.

Il declino nel primo decennio del secolo è stato rapido: la produzione aggregata di gas e petrolio è infatti passata dal record di 227 Mtep del 1999 a 82 Mtep nel 2012. Per trovare un livello tanto basso, occorre tornare indietro fino al 1978. E i dati preliminari relativi al 2013 indicano un’ulteriore contrazione del 10%.

A differenza di altri governi europei che preferiscono aumentare la pressione fiscale per sussidiare le rinnovabili, il governo britannico sembra dunque deciso a sostenere la ripresa economica anche sfruttando le riserve presenti nel sottosuolo del Paese e puntando all’efficienza nei consumi.