L’impatto del gas non-convenzionale

A shale gas revolution?Segnalo un interessante studio del MIT su The Influence of Shale Gas on U.S. Energy and Environmental Policy.

Lo studio compara lo scenario energetico statunitense con e senza gas da argille e valuta l’impatto del non-convenzionale sul costo dell’energia, sugli interscambi con l’estero e sui livelli di occupazione.

I risultati sono tutti largamente prevedibili e naturalmente positivi in tutti gli ambiti. I ricercatori del MIT tuttavia sottolineano che il gas da argille ha anche l’effetto di prevalere sulle rinnovabili, riducendone il peso e quindi aumentando l’impatto in termini di emissioni.

Aggiungerei, però, che non si tratta di un fatto completamente negativo: oltre al fatto che il gas spiazza in larga misura anche il carbone, il cui uso per la generazione elettrica produce più alte emissioni, restano infatti due dati essenziali.

Il primo è che posticipare l’adozione di misure eccessivamente stringenti in materia ambientale, soprattutto nell’attuale contesto macroeconomico, rappresenta un vantaggio competitivo, anche perché consente di scaricare sugli altri i costi dei limiti autoimposti.

Il secondo è che entrare più tardi massicciamente nelle rinnovabili – ossia, quando il gas sarà troppo costoso in termini comparati – consente di utilizzare direttamente le tecnologie più avanzate, scaricando sugli altri i costi rappresentati dagli investimenti già effettuati (per semplificare molto, chi dubita che i pannelli solari tra 10 anni saranno molto più efficienti e molto meno cari? Bene, noi intanto avremo i pannelli di oggi e staremo ancora paganti il V conto energia…).

 Molto su cui meditare, su questa sponda dell’Atlantico.

Focus trimestrale sicurezza energetica – Q3 e Q4 2012

Osservatorio di Politica Internazionale - Focus sicurezza energetica - Q1 2012È stato reso pubblico il focus sulla sicurezza energetica relativo al terzo e quarto trimestre 2012 realizzato per l’Osservatorio di Politica Internazionale (Senato, Camera e MAE).

Il primo capitolo del Focus è dedicato all’analisi del fabbisogno di gas nei principali mercati europei, con specifico riferimento alla generalizzata contrazione dei consumi nel corso del 2012 e ai differenziali di prezzo finale tra i diversi Paesi europei.

Il secondo capitolo è invece dedicato all’offerta e, nello specifico, alle politiche dei Paesi produttori di gas naturale e dei Paesi di transito dei gasdotti attualmente in funzione o in fase di progettazione/realizzazione. Ai recenti sviluppi del sistema di infrastrutture di trasporto e alle prospettive di realizzazione di nuovi progetti è poi dedicato il terzo capitolo.

Infine sono presenti due approfondimenti, uno dedicato al decomissioning nucleare e l’altro alle conseguenze geopolitiche dei cambiamenti nel mercato petrolifero statunitense.

I livelli di pressione fiscale sul gas in Europa

La bancadati di Eurostat ha pubblicato i dati relativi al prezzo del gas in Europa nel primo semestre 2012.

Sostanzialmente confermato il quadro d’insieme del semestre precedente, con il gas italiano più caro della media per i clienti residenziali (classe D2, tra 500 e 5.000 mc all’anno), soprattutto a causa dell’alta pressione fiscale: 34%, contro una media UE del 22% (tabella nrg_pc_202).

Pressione fiscale sui clienti residenziali (D2) - primo semestre 2012 - fonte: elaborazione su Eurostat nrg_pc_202

Pressione fiscale sui clienti residenziali (D2) – primo semestre 2012 – fonte: elaborazione su Eurostat nrg_pc_202

Prezzi sotto la media europea invece per i clienti industiali (classe I3, tra 2,5 e 25 milioni di mc all’anno) grazie a una pressione fiscale deciasamente sotto la media europea: 11 contro 21% (tabella nrg_pc_203).

Pressione fiscale sui clienti industriali (I3) - primo semestre 2012 - fonte: elaborazione su Eurostat nrg_pc_203

Pressione fiscale sui clienti industriali (I3) – primo semestre 2012 – fonte: elaborazione su Eurostat nrg_pc_203

Il vantaggio fiscale per le aziende è sicuramente condivisibile, perché tiene conto delle esternalità positive create dall’attività industriale (e rappresenta un raro esempio di politica industriale).

Resta invece decisamente vessatorio il livello di pressione fiscale per i clienti residenziali, soprattutto se si considera che (a parte i casi estremi dei Paesi nordici), gli unici Paesi con livelli di pressione fiscale superiore al nostro sono Romania e Paesi Bassi, che però essendo Paesi produttori hanno un costo della materia prima molto inferiore e quindi anche prezzi finali inferiori, nonostante la più alta pressione fiscale.

Prisma: la piattaforma del mercato europeo

Snam Rete Gas aderisce all’European Capacity PlatformA inizio dicembre anche Snam Rete Gas è entrata nell’azionariato di Prisma – European Capacity Platform. Prisma è una piattaforma digitale che da aprile 2013 consentirà agli operatori di rete europei di scambiare in modo unificato capacità di trasporto di gas.

Il progetto, a cui partecipano finora 19 TSO europei, anticipa il Codice di Rete europeo emanato dall’ENTSOG (European Network of Transmission System Operators for Gas), che entrerà in vigore entro il 2014. I Paesi coinvolti finora in Prisma sono Italia, Austria, Belgio, Danimarca, Francia, Germania e Olanda.

L’integrazione sempre più stretta tra le reti di trasporto del gas naturale in Europa rappresenta l’elemento più importante per garantire la sicurezza energetica dei Paesi membri nei prossimi decenni. L’avvio di Prisma va senza dubbio in questa direzione, anche perché il mezzo più efficace per conseguire una completa interconnessione continentale è la creazione dei meccanismi che spingano gli operatori ad agire sempre di più su una dimensione europea.

L’Egitto importatore netto di gas

Shell considers gas import to EgyptSecondo quanto riportato da AzerNews, le autorità egiziane hanno annunciato che a causa di un calo della produzione interna più rapido del previsto, l’Egitto diventerà nel futuro prossimo un importatore netto di gas naturale.

Il ministro del petrolio Osama Kamal ha già annunciato che dal maggio 2013 il settore privato (proabilmente col coinvolgimento di Shell) inizierà le importazioni di gas, senza però specificare la provenienza né le modalità di trasporto (ma indicando come target 5 Gmc annui, circa il 10% dei consumi attuali).

L’annuncio probabilmente risponde a dinamiche interne al sistema produttivo, ma resta il fatto che la crescente domanda interna è destinata a far venire meno in tempi rapidi le esportazioni verso Israele e Giordania. Si tratta di meno di un Gmc annuo ciascuno, pari al 15% dei consumi israeliani e alla quasi totalità di quelli giordani.

Il rapido sviluppo dei giacimenti israeliani è dunque sempre più una priorità non solo per Tel Aviv, ma anche per Amman.

Il South Stream e l’interesse dell’Italia

Siamo sicuri che il gasdotto South Stream sia nell’interesse dell’Italia? - Diego GavagninIn un post di oggi, Diego Gavagnin solleva la questione se il South Stream sia o meno nell’interesse dell’Italia. La sua risposta sembra essere “non troppo”, visto che il nuovo gasdotto in arrivo (ipotetico) al Tarvisio immetterebbe sul mercato italiano nuovo metano russo, che limiterebbe la concorrenzialità, aumenterebbe i prezzi e non sarebbe positivo per la sicurezza energetica nazionale. Inoltre, la nuova capacità di adduzione da Nord spiazzerebbe la nuova capacità di importazione da Sud, compromettendo la strategia che vuole fare dell’Italia l’hub meridionale del gas per l’UE.

Andiamo con ordine. Ammesso (e non concesso) che i flussi dalla Russia possano aumentare con la nuova infrastruttura, dovrebbero in ogni caso competere su un mercato sempre più concorrenziale: se il gas russo costa troppo, non si vende o si vende comunque meno degli altri. Nonostante Scaroni non si arrenda, sembra essere finita l’epoca in cui l’Eni poteva scaricare qualunque costo sui clienti finali.

Questo senza considerare l’effetto indiretto del South Stream: dare un altro colpo al Nabucco nella sua lotta contro il TAP, favorendo quest’ultimo e quindi l’arrivo del gas azerbaigiano in Italia, diversificando realmente gli approvvigionamenti.

E qui si arriva alla strategia dell’hub. Senza considerare che per fare hub occorre la capacità di esportazione (che al momento non abbiamo), immaginare per l’Italia un futuro da hub di transito nordafricano sembra una scommessa rischiosa, molto più rischiosa che farsi hub del gas russo (e eventualmente azerbaigiano).

A essere stato chiuso, di recente, è stato il Greenstream dalla Libia. E con le rivolte in Tunisia, si è rischiata l’interruzione del gas algerino, che pesa nei nostri consumi tanto quanto quello russo (circa un terzo). Le forniture dalla Russia sono sempre state affidabili e gli unici problemi si sono avuti per i ricatti ucraini, proprio quelli che South Stream è destinato a rendere inoffensivi. A tutto vantaggio della sicurezza energetica italiana.