Gas naturale: USA esportatori netti dal 2018

Lo shale gas statunitense, dopo aver rivoluzionato il mercato interno, sta per sortire i propri effetti diretti sull’offerta di GNL a livello globale. Secondo lo scenario di riferimento dell’Annual Energy Outlook 2017 dell’EIA, già a partire dal 2018 gli Stati Uniti diventeranno un esportatore netto di gas, grazie all’entrata in funzione di 4 nuovi rigassificatori.

EIA - Natural gas trade in the AEO2017 Reference case (1980-2040)

Dopo che nel 2016 Sabine Pass ha iniziato le operazioni, altri quattro (Cove Point, Corpus Christi LNG, Cameron LNG terminal, Freeport LNG) sono a diversi stati di completamento e inizieranno entro il 2020 a portare il gas statunitense sul mercato globale. Complessivamente, la capacità dei cinque punti di esportazioni sarà di 95 Gmc, rendendo gli Stati Uniti uno dei grandi fornitori mondiali di GNL, accanto a Qatar e Australia.

INFOGRAFICA – Consumi energetici delle principali economie

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Riserve petrolifere saudite: quanto sono grandi davvero?

Saudi Arabia's oil reserves: how big are they really? - KempSecondo un rapporto recentemente pubblicato da Rystad Energy e ripreso da FT, ci sarebbe più petrolio – contando riserve (provate, probabili e possibili) e giacimenti ancora da scoprire – negli Stati Uniti (264 Gbbl, miliardi di barili) che non in Russia (256) o in Arabia Saudita (212).

Metà delle riserve americane sarebbero formate da petrolio non convenzionale, a riprova dell’importanza dell’innovazione tecnologica nel rendere (economicamente) fattibile anche quanto prima non si considerasse come rilevante. Un qualunque grafico dei prezzi del greggio negli ultimi tre anni rende bene l’idea delle conseguenze, peraltro.

Le graduatorie sono utili a far notizia, ma nella sostanza non cambiano il dato di fatto che un terzo della produzione mondiale di petrolio si concentra in modo più o meno paritetico nei tre grandi produttori. E, date l’ordine di grandezza delle riserve di tutti e tre, è ragionevole immaginare che anche in futuro resteranno i principali produttori.

Parlando di riserve, in realtà, la questione più spinosa resta quella dell’affidabilità del dato relativo alle riserve saudite, come ha messo ben in evidenza John Kemp nel suo commento per Reuters. A partire dal 1982, dopo il completamento della nazionalizzazione di Saudi Aramco (1980), i dati relativi alla produzione e alle riserve campo per campo sono stati segretati e l’unico dato disponibile relativo alle riserve è stato quello ufficiale comunicato dal governo.

Nel corso degli anni ottanta questo dato è rimasto intorno ai 170 Gbbl, per poi passare improvvisamente – e senza spiegazioni dettagliate – a 255 Gbbl nel 1988 e 260 Gbbl nel 1989, restando da lì in avanti sostanzialmente stabili. A fine 2015 il dato era di 267 Gbbl.

Peccato che nel frattempo l’Arabia Saudita abbia prodotto 116 Gbbl, di cui 94 tra il 1989 e il 2015. Il che significa che ogni anno le riserve sono cresciute, di fatto per un aumento delle stime delle riserve nei campi esistenti, visto che grandi scoperte non sono state più fatte dopo il 1970.

La somma della produzione petrolifera e delle riserve provate saudite

L’ampliamento delle riserve, in primo luogo grazie al miglioramento tecnologico, è un dato normalissimo, sia chiaro. Ed è normale che il petrolio prodotto durante la vita utile di un giacimento sia superiore alle stime totali iniziali, anche grazie alla miglior comprensione della conformazione geologica. Quello che però lascia dubbiosi è la perfetta coincidenza numerica con cui le nuove riserve rimpiazzano la produzione.

In vista della maxi-quotazione del 5% di Saudi Aramco (valutata 2 miliardi di dollari), l’aspettativa è quella di una maggiore chiarezza circa le modalità di computo delle riserve: anche se non è chiaro quali saranno i diritti di proprietà dei nuovi soci sulle riserve saudite, almeno gioverebbe sapere a quanto ammontano davvero. E sarebbe un’ottima cosa anche per il resto del mondo, che a prescindere da chi siano gli importatori, da una maggiore trasparenza ha tutto da guadagnare.