Russia: i pessimi consigli dei falchi

FT - Call Putin’s bluff – he will not cut off Europe’s gasIn un articolo di ieri dal titolo Call Putin’s bluff – he will not cut off Europe’s gas, Matthew Bryza cerca di argomentare a favore di un irrigidimento europeo su posizioni antirusse. Semplificando, l’idea è che la Russia dipenderebbe dalle esportazioni di gas verso l’UE, ma che i Paesi europei potrebbero fare a meno del gas russo e quindi dovrebbero “chiamare” il bluff di Putin.

A parte che Putin non sta tentando nessun bluff perché né lui né Gazprom hanno mai minacciato un’interruzione delle forniture ai clienti europei. E non avrebbero ragione di farlo, visto che si tratta di partner affidabili e di lungo periodo, che stanno facendo giusto finta di sanzionare la Russia e coi quali gli scambi commerciali continuano con mutuo beneficio.

Per Bryza però gli Stati europei dovrebbero seguire la linea dura e prepararsi a uno scontro, adottando tre misure. Una più assurda dell’altra.

Innazitutto, la Commissione Europea dovrebbe imporre un riempiemento al 100% degli stoccaggi europei al più presto. Il che pone due problemi: il primo è “chi paga?”, il secondo è “da dove viene il gas?”. La risposta sarebbero che i contribuenti europei a pagare con le tasse un eccesso di scorte di gas (prevelentemente russo) per prepararsi a un taglio del gas (russo).

Tralasciando che Bryza confonde i dati delle esportazioni russe in Europa con quelli della sola UE, si pone innanzitutto il problema che l’erogazione giornaliera da stoccaggio ha dei limiti e non basta avere maggiori volumi complessivi sottoterra per rimpiazzare il flusso giornaliero dei gasdotti dalla Russia.

La seconda misura è ancora più insensata: si tratterebbe di “identificare fornitori di GNL” per fornire i volumi in più, da sommare alle erogazioni da stoccaggio per impiazzare tutto il gas russo [sic!]. Il tutto, sulla carta sarebbe facile: basta sfruttare l’enorme capacità di rigassificazione inutilizzata.

Peccato che la domanda da soddisfare sarebbbe in Europa centro-orientale e i terminali inutilizzati si trovino soprattutto sulle coste spagnole e britanniche. E che le diverse parti d’Europa non siano collegate da una rete di gasdotti in grado di trasportare il gas. Insomma, basterebbe inondare di gas Spagna e Regno Unito per scaldare gli slovacchi. Magia delle medie.

La terza misura, per rispondere a una domanda di prima, sarebbe quella di coprire i costi derivanti dalla questa strategia con un bell’indebitamento europeo, stimato (come?) in 20 miliardi di euro. Come se l’economia europea avesse bisogno di essere depressa ancora un po’.

L’interesse europeo e italiano stanno decisamente altrove, su tutta la linea. Ma gli interessi che stanno a cuore a Bryza non sono di certo i nostri.

La UE spinge per liberalizzare le esportazioni di idrocarburi USA

Sole24Ore - L'Europa punta i piedi per liberare l'export di petrolio e gas UsaIl Sole24 Ore riporta oggi la notizia di un documento della Commissione europea trapelato nelle mani del Washington Post, in cui si vede la pressione che i negoziatori europei del nuovo accordo di libero scambio transatlantico stanno facendo sui loro omologhi americani, affinché si proceda all’eliminazione delle restrizioni alle esportazioni di idrocarburi fuori dai confini statunitensi.

Tali restrizioni furono introdotte negli anni ’70, quando gli embarghi posti in essere dagli arabi e la diminuzione della produzione domestica accrebbero la percezione dell’esistenza di una minaccia alla sicurezza energetica nazionale.

A seguito della shale revolution tali restrizioni non hanno tuttavia più molta ragione d’essere: gli USA ormai producono al loro interno o importano dal vicino e affidabile Canada la gran parte degli idrocarburi di cui abbisognano.

Secondo la Commissione europea, facilitare le esportazione di idrocarburi USA verso l’Europa può migliorare la sicurezza energetica europea.  Ci sono tuttavia ragioni di crede, e in questo blog l’abbiamo detto più volte, che questo miglioramento sia piuttosto trascurabile.

Semmai, il beneficio che l’Europa potrebbe ottenere sarebbe quello di vedere ridotto il vantaggio competitivo delle raffinerie e delle altre industrie americane che usano gli idrocarburi come materia prima, materia prima che in situazioni di eccesso di offerta viene inevitabilmente venduta a un prezzo ribassato (si ricordi che in questi anni il Brent è stato sensibilmente più caro del West Texast Intermediate).

Nel caso queste pressioni avessero un seguito positivo nell’accordo transatlantico, il comparto europeo, che vive una situazione di profonda crisi, potrebbe avere qualche piccola ragione di gioire.

Le conseguenze geopolitiche del non convenzionale americano

Nicolò Sartori - Geopolitical Implications of the US Unconventional Energy RevolutionLe conseguenze a livello internazionale della produzione di petrolio e gas non convenzionali negli Stati Uniti sono un tema che ha inevitabilmente attratto parecchia attenzione negli ultimi anni, data la dimensione del fenomeno.

Sul tema segnalo l’interessante articolo di Nicolò Sartori dal titolo Geopolitical Implications of the US Unconventional Energy Revolution, appena uscito sull’International Spectator.

Per chi non avesse accesso diretto ai contenuti online, la tesi centrale del lavoro è che la rivoluzione del non convenzionale sta portando gli Stati Uniti sulla strada dell’indipendenza energetica, riducendo la dipendenza dalle importazioni e dunque la vulnerabilità rispetto alle dinamiche politiche nei paesi produttori.

Questa tendenza non porterà tuttavia a un disimpegno dal Medio Oriente e, più in generale, dalle dinamiche globali legate all’energia, destinate in ogni caso ad avere ripercussioni sull’economia globale e quindi su quella americana. Ma aumenterà la libertà di manovra statunitense, soprattutto nel quadro più ampio del confronto con l’ascesa cinese e della protezione degli alleati tradizionali, da Israele al Giappone e alla Corea del Sud.

Nel caso del rapporto coi Paesi europei, più che la rivoluzione del non convenzionale, a pesare sarà la crescente perifericità del Vecchio continente. Nonostante la temporanea ribalta concessa dalle vicende ucraine, l’Europa interesserà sempre meno agli USA,  soprattutto rispetto alla sempre più importante competizione con la Cina.

Parlando di Occidente, infatti, in prospettiva statunitense si parlerà sempre di più di America, settentrionale ma anche meridionale, dove i giacimenti energetici promettono un utile complemento alla produzione non convenzionale di Washington.

Un sano bagno di realismo quello fornito da Sartori, mentre a Bruxelles si continua con la consueta contemplazione dell’ombelico a oltranza.

Obama rilancia l’obiettivo della decarbonizzazione: ci riuscirà?

rep v demDopo la segnalazione di ieri, vi rimando oggi ad un’altro articolo apparso sulla versione on-line dell’Economist, in cui si dà un’efficace resoconto del recente tentativo dell’Amministrazione Obama di rilanciare l’obiettivo della de-carbonizzazione.

Vista l’opposizione della Camera dei Rappresentati dominata dai Repubblicani, il Presidente ha chiesto all’Environmental Protection Agency (EPA) di adottare un target per le emissioni di anidride carbonica per il 2030. L’Agenzia, che risponde direttamente al Presidente, ha pubblicato una proposta che prevede l’obbligo per il parco centrali elettriche esistente di ridurre le emissioni di CO2 del 30% rispetto al livello riportato nel 2005.

Inutile dire che l’iniziativa ha polarizzato la scena politica americana, con i Repubblicani (l’elefante della figura) fortemente contrari, così come alcuni Democratici (l’asino della figura) provenienti da quegli Stati dell’Unione, dove si concentra la produzione di carbone e che quindi potrebbero essere più danneggiati in termini economici da una decisione, che ridurrebbe ancor più la già bassa domanda interna di carbone.

La proposta dell’EPA peraltro non risulta molto ambiziosa, dato che dal 2005 ad oggi le emissioni di CO2 del settore elettrico sono già significativamente calate a causa del maggiore ricorso al gas e per via della minore dinamica economica.

L’effetto ricercato, tuttavia, è quello di rilanciare una politica che ha decisamente perso negli ultimi anni priorità nell’agenda politica sia americana che internazionale. Questa potrebbe essere una buona notizia per la Commissione europea, rimasta attualmente solitario campione della lotta alle emissioni di CO2, soprattutto in vista del round di negoziati che si terrà l’anno prossimo a Parigi.

PS: l’eventuale adozione di questa politica ridurrebbe a livelli assai modesti le esportazioni di gas americano nei prossimi decenni, mentre potrebbe ulteriormente accrescere l’offerta di carbone a prezzi ridotti per i consumatori stranieri, Europa e Asia in primis. A seguito delle profonde interrelazioni fra i vari mercati energetici, l’effetto globale sulle emissioni di CO2 di questa scelta potrebbe perciò risultare alquanto modesto.

Dubbi in agguato sulla rivoluzione del non convenzionale

EIA-2014-ProjectionNegli ultimi anni da più parti è stato sottolineato come lo sfruttamento degli idrocarburi non convenzionali abbia trasformato profondamente lo scenario energetico degli Stati Uniti, garantendo all’industria oltre-oceano energia abbondante e a prezzi ridotti. La International Energy Agency (IEA)  è arrivata fino a ipotizzare un Nord America esportatore netto di idrocarburi attorno al 2030, situazione ben diversa da quella prevista solo una decina di anni fa.

Centrale in queste previsioni, oggetto di forte invidia da parte dei politici e delle associazioni industriali europee, è tuttavia la consistenza e l’economicità delle risorse di shale/tight oil/gas disponibili nel sottosuolo americano. In sostanza, tutto di pende dall’ammontare delle riserve, ossia dalla quantità di idrocarburi ragionevolmente sfruttabili con riferimento a certi livelli di prezzo e a certe tecnologie.

La stima delle riserve americane è andata in generale crescendo negli ultimi anni, ma ha anche conosciuto forti fluttuazioni, dovute i) alla difficoltà di quantificare l’ammontare di gas e petrolio tecnicamente estraibile e ii) alle notevoli variazioni nei prezzi, in particolare del gas (negli USA il prezzo del gas è variato tra i 2 e i 6 $ per milione di BTU negli ultimi anni).

Come esempio di quanta incertezza sia associata al livello delle riserve possiamo citare il probabile e drammatico downgrade delle riserve di petrolio della Monterey Shale Formation in California: secondo quanto riportato dal Los Angeles Times l’Energy Information Administration (EIA) starebbe per pubblicare delle nuove stime, inferiori del 96% (!) a quelle fornite un paio di anni fa.

Normale dunque che la stessa EIA nel suo recente Outlook presenti scenari futuri piuttosto diversi per quanto riguarda la produzione di idrocarburi. Nel Low Oil and Gas Resource Scenario la produzione petrolifera US raggiungerebbe il picco attorno al 2017 con circa 9 milioni di barili estratti al giorno (mb/d), subendo poi una progressiva contrazione fino a circa 6-7 mb/d nel 2040. Nel High Oil and Gas Resource Scenario, invece, la produzione continua a crescere fino a 13-14 mb/d nel 2040, rendendo così gli USA un piccolo esportatore netto di petrolio.

Insomma, l’incertezza domina il settore degli idrocarburi, sia per ragioni geologico-ingegneristiche che per ragioni economiche, ed è quindi auspicabile prudenza nei giudizi…e negli investimenti.