L’importanza degli investimenti per la sicurezza energetica

WEO_2014_Investment_Excerpt_Cover_PRINT.pdfNavigando sul sito on-line del Sole 24Ore, ho scoperto che qualche giorno fa l’Agenzia Internazionale dell’Energia (AIE) ha pubblicato un rapporto sugli investimenti in campo energetico necessari a livello globale da qui al 2035.

Insoddisfatto per le scarne e un pò confuse informazioni riportate dal giornalista sono andato sul sito dell’AIE, dove ho scoperto delle cose interessanti.

Secondo l’Agenzia da qui al 2035 ci sarà bisogno a livello mondiale di quasi 50.000 miliardi di dollari di investimenti nella produzione di energia e in efficienza energetica. Una cifra enorme, che vale suppergiù 30 volte il PIL dell’Italia, cifra che peraltro non sarà sufficiente a garantire il rispetto degli impegni contro i cambiamenti climatici assunti dai vari governi negli ultimi anni.

Al di là del valore assoluto fornito da queste previsioni a 20 anni, su cui più volte ho sottolineato la necessità di essere estremamente cauti, quello che mi preme sottolineare sono alcune considerazioni fatte dal capo economista dell’AIE Birol.

Per Birol il livello attuale degli investimenti non è sufficiente e questo è dovuto anche al basso prezzo dell’energia sui mercati all’ingrosso (NB: il prezzo che i consumatori finali pagano è dato dal prezzo all’ingrosso più il costo del servizio di vendita al dettaglio, le tasse e i vari balzelli parafiscali). Questo è vero soprattutto in Europa, dove molte utility stanno perdendo denaro, perchè i prezzi del gas o dell’energia elettrica sono in calo.

In queste condizioni, investire in nuovi impianti o in nuove infrastrutture di trasporto non conviene. Il rischio allora è che mano a mano che gli impianti esistenti invecchiano e la domanda riprende a crescere, l’Europa si trovi con un’offerta di energia insufficiente o non affidabile: la luce potrebbe non rimanere accesa.

Urge allora ripensare il disegno del mercato, in modo che sia garantita la remunerazione degli impianti che offrono la garanzia di poter produrre energia su richiesta. Insomma, un qualche meccanismo di finanziamento della capacità, che vada ad affiancarsi agli attuali mercati dell’energia e che non gravi troppo sulle bollette di famiglie e imprese.

A ciò si deve aggiungere un quadro regolatorio e geopolitico stabile in modo che gli investitori si sentano più sicuri e decidano di investire alcune migliaia di miliardi di dollari in progetti che richiedono 30 o 40 per ripagarsi.

Una bella sfida, senza dubbio.

Ps: la necessità di un quadro regolatorio stabile e prevedibile è uno dei leitmotiv che ormai ho sentito fino alla nausea. In giro sono però troppo numerosi gli investitori che pur con tassi d’interessi a zero e numerose garanzie pubbliche non sono disposti a scucire un quattrino per investimenti che non abbiano natura finanziaria e non abbiano quindi un’elevata liquidita. In questo senso il problema non è solo di politica industriale, ma anche di politica fiscale, monetaria e di organizzazione del sistema finanziario.

Dubbi in agguato sulla rivoluzione del non convenzionale

EIA-2014-ProjectionNegli ultimi anni da più parti è stato sottolineato come lo sfruttamento degli idrocarburi non convenzionali abbia trasformato profondamente lo scenario energetico degli Stati Uniti, garantendo all’industria oltre-oceano energia abbondante e a prezzi ridotti. La International Energy Agency (IEA)  è arrivata fino a ipotizzare un Nord America esportatore netto di idrocarburi attorno al 2030, situazione ben diversa da quella prevista solo una decina di anni fa.

Centrale in queste previsioni, oggetto di forte invidia da parte dei politici e delle associazioni industriali europee, è tuttavia la consistenza e l’economicità delle risorse di shale/tight oil/gas disponibili nel sottosuolo americano. In sostanza, tutto di pende dall’ammontare delle riserve, ossia dalla quantità di idrocarburi ragionevolmente sfruttabili con riferimento a certi livelli di prezzo e a certe tecnologie.

La stima delle riserve americane è andata in generale crescendo negli ultimi anni, ma ha anche conosciuto forti fluttuazioni, dovute i) alla difficoltà di quantificare l’ammontare di gas e petrolio tecnicamente estraibile e ii) alle notevoli variazioni nei prezzi, in particolare del gas (negli USA il prezzo del gas è variato tra i 2 e i 6 $ per milione di BTU negli ultimi anni).

Come esempio di quanta incertezza sia associata al livello delle riserve possiamo citare il probabile e drammatico downgrade delle riserve di petrolio della Monterey Shale Formation in California: secondo quanto riportato dal Los Angeles Times l’Energy Information Administration (EIA) starebbe per pubblicare delle nuove stime, inferiori del 96% (!) a quelle fornite un paio di anni fa.

Normale dunque che la stessa EIA nel suo recente Outlook presenti scenari futuri piuttosto diversi per quanto riguarda la produzione di idrocarburi. Nel Low Oil and Gas Resource Scenario la produzione petrolifera US raggiungerebbe il picco attorno al 2017 con circa 9 milioni di barili estratti al giorno (mb/d), subendo poi una progressiva contrazione fino a circa 6-7 mb/d nel 2040. Nel High Oil and Gas Resource Scenario, invece, la produzione continua a crescere fino a 13-14 mb/d nel 2040, rendendo così gli USA un piccolo esportatore netto di petrolio.

Insomma, l’incertezza domina il settore degli idrocarburi, sia per ragioni geologico-ingegneristiche che per ragioni economiche, ed è quindi auspicabile prudenza nei giudizi…e negli investimenti.

Russia e Cina siglano l’accordo sul gas

FT - China and Russia sign gas dealCome ampiamente riportato dai media (FT, RIA, Reuters, Xinhua), la russa Gazprom e la cinese CNPC sono giunte a un accordo sulla fornitura di gas naturale via gasdotto (il costruendo Power of Siberia). Si tratta di un importante passaggio nella storia delle relazioni russo-cinesi, di grande valore politico oltre che economico.

L’accordo prevede volumi per 38 Gmc all’anno per 30 anni a partire dal 2018, per un totale di 1.140 Gmc. Il prezzo non è stato annunciato, ma secondo le dichiarazioni di Gazprom il valore atteso è di 400 miliardi di dollari, pari a 350 dollari ogni mille metri cubi. Si tratta di una cifra più o meno in linea coi prezzi pagati dai clienti europei dopo le recenti rinegoziazioni.

La cifra iniziale è però semplicemente una proiezione dei prezzi di partenza, ma non dice nulla sulla formula di calcolo del prezzo e dunque su come evolverà in futuro il controvalore dei flussi. Un altro elemento cruciale, sul quale è stato posto il segreto, è quello delle modalità di rinegoziazione.

Proprio la formula e le modalità di rinegoziazione hanno tenuto aperto fino all’ultimo un negoziato che, tra alti e bassi, andava avanti da un decennio. Anche se la crisi ucraina ha accelerato le cose, l’accordo era però inevitabilmente: la Russia ha le più grandi riserve al mondo e la Cina è il più grande consumatore al mondo di energia, in continua crescita.

Gazprom ha dichiarato un investimento previsto di 55 miliardi di dollari per il progetto, mentre da parte cinese si prevede un investimento di circa 20 miliardi di dollari. Per i russi si tratta di un’ottima diversificazione rispetto alla dipendenza dai clienti europei, mentre per i cinesi rappresenta una tassello importante della diversificazione dell’approvvigionamento, oltre che un vantaggio in termini di costo rispetto alle molto più costose importazioni di GNL.

Dal punto di vista europeo, non ci saranno in ogni caso conseguenze di rilievo. I giacimenti da cui proverrà il gas diretto in Cina (Kovykta e Chayandin) si trovano in Siberia Orientale, mentre il grosso dei volumi diretti verso l’UE proviene e continuerà a provenire dalla Siberia Occidentale.

Inoltre, i Paesi europei sono destinati a restare anche in futuro centrali per le attività di Gazprom: le esportazioni di gas russo nel 2013 sono state oltre i 120 Gmc, mentre a regime quelle annue verso la Cina saranno di 38 Gmc. Nulla da temere, se non l’ennesima conferma del fatto che il peso dell’Europa nell’economia globale continua a diminuire.

Gazprom - Developing gas resources and shaping gas transmission system in Eastern Russia - fonte: http://bit.ly/1jDmpis

JODI Gas World Database

JODI GasDurante il meeting ministeriale dell’International Energy Forum di Mosca del 16 maggio è stato ufficilamente lanciato il JODI Gas World Database.

La Joint Organisations Data Initiative è un progetto che coinvolge diverse istituzioni (APEC, Eurostat, IEA, OLADE, OPEC e UNSD) e che ha lo scopo di raccogliere dati sui mercati energetici e renderli pubblici, favorendo trasparenza e dialogo sui mercati energetici globali.

Finora i dati erano disponibili solo per il petrolio, ma da oggi saranno raccolti e pubblicati anche i dati relativi al gas naturale. In particolare, saranno disponibili i dati mensili consolidati su produzione, consumi, esportazioni, importazioni e scorte di gas naturale.

I dati raccolti coprono circa l’80% del mercato globale, offrendo uno strumento unico per comparare le tendenze in atto sui mercati del gas in modo tempestivo. Attualmente il database è accessibile, ma non contiene dati, che saranno raccolti da ora in avanti: per rendersi conto delle potenzialità basta però dare un’occhiata alla sezione dedicata al petrolio.

Insomma, uno strumento che a partire dai prossimi mesi si rivelerà molto utile.

La lettera slovacca

Reuters -  Slovak PM: Russia says gas to Europe will stop if Kiev does not payIl primo ministro della Slovacchia Robert Fico ha detto oggi in conferenza stampa «Today, multiple member states including Slovakia were informed by President Putin that as of June 1, if Ukraine does not pay for supplied gas, it will not be supplied to the European territory» (verbatim da Reuters).

Detta così, sembra una lettera davvero minacciosa. Grazie alle moderne tecnologie, ci è però concesso di andarla a leggere in versione ufficiale. E  sembra più che altro una constatazione dei fatti: il debito ucraino si accumula (siamo a 3,5 miliardi) e da giugno Gazprom consegnerà solo il gas pagato in anticipo.

Nemmeno una riga sulle consegne di gas ai Paesi europei, niente minacce e nemmeno allusioni. Certo, esiste il rischio che il mancato pagamento da parte dell’Ucraina porti Gazprom a consegnare solo i volumi destinati ai Paesi europei e che poi Naftogaz ne trattenga una parte per i propri consumatori, facendo scattare l’interruzione completa dei flussi. Come nel 2006 e nel 2009.

Il problema però sarebbero la morosità e l’appropriazione indebita da parte di Naftogaz, non la richiesta di pagamento da parte di Gazprom. Il gioco è chiaro: il braccio di ferro su quanta parte degli aiuti internazionali all’Ucraina dovrà andare ai creditori russi si avvicina, mentre gli Stati Uniti hanno già detto apertamente che in totale non daranno più del miliardo previsto.

Toccherà quindi all’Europa affiancare il FMI e aggiungere al conto altri miliardi per tenere in piedi il governo di Kiev. La partita diventerà dunque costosa per l’UE e costruire un’immagine minacciosa e incombente del cattivo-Putin – che certo non è un santo – servirà a giustificare un ulteriore salasso dei cittadini europei. Con buona pace di greci e ciprioti, ancora appesi al cappio del debito.

Robert Fico avrebbe insomma fatto dire alla lettera di Putin quel che in realtà non c’è scritto, ma che risulta molto comodo ai governi più anti-russi. Sempre che in realtà il povero Fico non abbia ricevuto da Mosca una sua specialissima lettera slovacca.

Il carbone, non il nucleare, è la fonte più pericolosa

minersNell’immaginario collettivo il nucleare è la fonte di energia più pericolosa e inquinante che ci sia. Che sia la più inquinante possiamo discuterne, ma che sia la più pericolosa, almeno in termini di vite umane, è ora di smettere di crederlo.

Ieri l’ennesima miniera di carbone è crollata uccidendo circa 200 minatori in Turchia. L’anno scorso altre decine di minatori erano morti nella solo Turchia, ma ogni anno il computo è di alcune migliaia se contiamo le miniere, a volte rudimentali, di tutto il mondo e le centinaia di centrali a carbone, dove qualche incidente ogni tanto capita.

Quanti morti ha fatto invece l’incidente di Fukushima?

Certo, quello di Chernobyl fece alcune decine di vittime nei primi giorni dopo l’esplosione, e ad essi purtroppo seguirono alcune migliaia di casi di tumori spesso mortali negli anni successivi, ma non mi sentirei di dire che la somma di quei morti sia superiore ai 6-7.000 minatori rimasti uccisi negli ultimi 4 anni nella sola Cina.

Dato che dire di no al nucleare significa al momento attuale anche dire sì al carbone, invito tutti a riflettere su quale sia la scelta migliore.