Settore petrolifero russo: una sintesi

CIEP - Factual information on oil pipelines, gas pipelines and gasflows from Russia to EUPer chi avesse bisogno di farsi rapidamente un’idea del settore oil&gas russo e dei rapporti con l’Europa, senza perdere troppo tempo o affidarsi a fonti di dubbia origine, segnalo un paio di schede realizzate dal Clingendael International Energy Programme (CIEP).

Una scheda è dedicata al , l’altra al . Per uno sguardo più ampio al settore energetico russo, segnalo invece la scheda dell’Energy Information Administration statunitense.

Prezzi del greggio: continua la discesa

Reuters - UPDATE 2-IEA sees 2015 oil demand growth much lower, supply hitting pricesGuai in vista per i Paesi produttori la cui stabilità finanziaria dipende dalle esportazioni di greggio. E che potrebbero vedere diminuire ancora il valore della loro produzione: in questi giorni le quotazioni del Brent sono scese stabilmente sotto i 90 dollari, dopo aver toccato in giugno i 115 dollari ed essere stabilmente sopra i 100 dal 2011.

Tre le cause principali: sul lato dell’offerta, il boom del non convenzionale statunitense. Sul lato della domanda, il rallentamento della crescita globale e il dollaro forte, che penalizza tutti gli importatori (tranne quelli che stampano dollari).

Tanto che la IEA ha tagliato del 20% le proprie stime di crescita della domanda per il 2015. Il calo dei prezzi quindi non sembra essere ancora abbastanza marcato da stimolare un aumento significativo della domanda.

E nemmeno da far scattare una riduzione della produzione OPEC per stimolare una crescita dei prezzi a causa della scarsità. I Paesi del cartello sembrano infatti più impegnati a difendere i volumi di esportazione che non ad alterare i prezzi di mercato, approfittando dei costi di produzione mediamente più bassi rispetto agli altri Paesi.

La situazione potrebbe continuare fino alla soglia degli 80 dollari al barile, quando invece tagliare i volumi per aumentare i prezzi potrebbe tornare a essere profittevole per i Paesi OPEC.

Intanto però a rimetterci sarebbero soprattutto due categorie. Da un lato, i produttori con costi molto alti, come quelli statunitensi e canadesi da non convenzionale. Dall’altro, i Paesi produttori con le finanze pubbliche più a rischio.

In particolare, tra i Paesi OPEC il Venezuela è particolarmente sensibile alla questione, tanto da aver proposto di anticipare il prossimo incontro ufficiale dell’organizzazione, previsto per il 27 Novembre. Le finanze venezuelane rischiano davvero di non riuscire a reggere il colpo di una riduzione dei prezzi, soprattutto con una produzione in costante declino e con 5,2 miliardi di dollari di prestiti in scadenza nel solo mese di ottobre.

Se i sauditi sceglieranno di non reagire, lasciando scendere ancora i prezzi e rendendo strutturale il calo, i problemi potrebbero emergere anche per altri Paesi. A cominciare da Algeria e Russia, che hanno impostato i rispettivi bilanci pubblici per il 2015 sulla base di prezzi intorno ai 100 dollari. E che potrebbero trovarsi a dover fare tagli dolorosi alla propria spesa pubblica, al pari di parecchi Paesi nel Golfo.

E per noi? Dipende. L’impatto sull’Italia sarebbe positivo in quanto Paese importatore (30 miliardi di euro nel 2013), perché la riduzione dei prezzi potrebbe bilanciare il deprezzamento dell’euro rispetto al dollaro. Ma sarebbe anche potenzialmente negativo come Paese esportatore, soprattutto se la crisi dovesse indebolire la domanda di merci italiane nei Paesi del Golfo e in Russia.

Il prezzo del greggio in discesa: un sollievo per l’Europa

Petrolio, l’Arabia Saudita dichiara la guerra dei prezzi. E il Brent crollaAspettando che sui riflessi geopolitici commenti meglio Matteo, vi segnalo questo articolo del Sole24Ore in cui si accenna a una possibile guerra dei prezzi in campo petrolifero, con l’Arabia Saudita che da alcuni mesi starebbe tagliando i prezzi di vendita del suo greggio.

Mi preme sottolineare tuttavia una cosa: perché si accenna al fatto che la deflazione che preoccupa l’Europa potrebbe peggiorare?

In quanto zona che importa in larga parte il petrolio dall’estero, l’Europa non può che beneficiare di un minor prezzo di questa importante materia prima.

Certo, chi produce petrolio in Europa o suoi sostituti immediati o attrezzature per l’industria petrolifera potrebbe vedere la propria situazione peggiorare, ma tutti gli altri attori economici dovrebbero semplicemente vedere ridursi i propri costi di produzione, lasciando inalterati o addirittura crescenti i loro margini di guadagno (che potrebbero essere spesi per accrescere la domanda interna di beni e servizi, anziché quella esterna di materie prime). Forse potrebbero essere danneggiate anche alcune imprese che esportano soprattutto in Paesi produttori di petrolio.

Ma nel complesso l’Europa dovrebbe avvantaggiarsene.

Kashagan: ripartenza nel 2016?

Platts - When will Kazakhstan's Kashagan be able to restart production?Il giacimento di Kashagan rappresenta un elemento fondamentale per il futuro delle esportazioni petrolifere kazake, oltre che un investimento da parecchie decine di miliardi di dollari per le multinazionali coinvolte, tra cui Eni.

Come noto, la produzione nel giacimento è iniziata a ottobre 2013, per poi essere interrotta dopo poche settimane a causa dei cedimenti lungo le condotte che dai pozzi portano agli impianti di trattamento a terra.

Il ritorno alla produzione è previsto tra non meno di un anno e mezzo, secondo quanto riportato da Dina Khrennikova, associate editor di Platts, in un podcast dal titolo When will Kazakhstan’s Kashagan be able to restart production?

In particolare, le Autorità kazake e il North Caspian Operating Company (NCOC) hanno pubblicamente parlato di due scenari per il ritorno alla produzione: uno più positivo per la prima metà del 2016 e uno più negativo per la seconda metà del 2016. Tutte e due gli scenari potrebbero essere però troppo ottimistici. Le perdite sarebbero dovute a una scelta sbagliata nel grado dell’acciaio necessario a evitare la corrosione dovuta all’alto contenuto di acido solforico che contraddistingue gli idrocarburi di Kashagan. I problemi potrebbero inoltre essere dovuti anche alle saldature.

Le operazioni sono particolarmente complesse: occorre sostituire 200 km di condotte e i tecnici sarebbero ancora al lavoro per studiare il tipo di acciaio necessario. Secondo il governo kazako, però, la produzione dei tubi dovrebbe cominciare già ad agosto, con le prime consegne a dicembre: scandenze molto probabilmente irrealistiche.

Nonostante gli attriti causati dai ritardi, i rapporti tra il governo kazako e le compagnie sembrano ancora reggere [di necessità virtù…]. Il segno più tangibile è la decisione di imporre alla NCOC una multa di soli 30 milioni di dollari per ogni trimestre di ritardo: tutto sommato una cifra modesta, soprattutto se si considerano le decine di miliardi di investimenti già effettuati.

Un altro segnale di “pace” tra il governo e la NCOC è stato l’annuncio che non ci sarà un’indagine autonoma sui fatti che hanno portato all’interruzione della produzione: i panni sporchi potranno tutto sommato essere lavati in casa del consorzio, senza troppo clamore.

Intanto il governo kazako ha rivisto al ribasso le stime della produzione interna per il 2014 a 82 Mt, in linea con quelle dell’anno scorso. Il dato potrebbe però essere troppo ottimistico, considerando che i livelli del 2013 erano dovuti a una produzione record del giacimento di Tengiz, che non è detto possa essere ripetuta quest’anno.

Se consideriamo il possibile calo dei volumi e la parallela discesa delle quotazioni del greggio in atto, le pressioni sul governo kazako potrebbero far aumentare la tensione con la NCOC, oltre che far suonare l’ennesimo campanello d’allarme sull’eccessivo peso delle esportazioni petrolifere nell’economia del Paese.

Quotazioni del greggio: regna la calma

IEA - Lower economic growth outlook trims 2014 demand increaseL’avanzata di ISIL in Iraq. Il governo di Kiev incapace di domare i ribelli. Le sanzioni occidentali alla Russia. Le fazioni libiche impegnate in un nuovo giro di fragili alleanze. Gli ingredienti dell’instabilità geopolitica, qualunque cosa significhi, sembrano esserci tutti.

E nelle attese di molti, il prezzo del greggio era destinato a toccare nuovi record, minacciando la debole ripresa economica europea o la crescita asiatica. E invece, dando un’occhiata ai grafici, appare evidente come in realtà gli operatori abbiano mantenuto la calma, dopo un breve picco a 115,19 dollari al barile il 19 giugno.

A spiegare l’arcano è l’Oil market report di Agosto della IEA. Innanzitutto, la domanda globale è attesa più debole delle attese: il taglio nelle previsioni relative 2014 è di un milione barili al giorno, poco più dei consumi italiani.

A questo si sono aggiunti l’aumento di produzione dell’Arabia Saudita e un modesto recupero delle esportazioni libiche. Inoltre, le scorte dei Paesi OCSE hanno continuato a crescere, arrivando a 2.671 milioni di barili.

L’effetto combinato di tutti questi fattori è stato dunque quello di spingere i prezzi verso il basso e di mantenere la calma sui mercati internazionali.

Gli operatori peraltro scontano anche l’effetto di alcuni fattori strutturali già chiaramente emersi: il declino della domanda europea, l’aumento della produzione statunitense (e quindi le minori importazioni), investimenti cumulati di circa 500 miliardi dollari in nuovo upstream petrolifero solo per il periodo 2014-2020.

Insomma, meglio non sopravvalutare la cosiddetta geopolitica. O quantomeno, leggerla in un quadro più ampio.


Prezzo del greggio, in dollari al barile  (02/01/2014 - 04/08/2014)


Unione Petrolifera – Relazione annuale 2014

Italia – Domanda di prodotti petroliferi al 2030Segnalo la consueta pubblicazione della Relazione annuale di Unione Petrolifera, l’associazione degli industriali del settore.

La relazione ricostruisce in modo puntuale l’evoluzione del mercato petrolifero internazionale e del settore energetico in Italia, per poi naturalmente approfondire le dinamiche del settore petrolifero nel nostro Paese, dalla produzione alla raffinazione, dalla commercializzazione alle questioni fiscali.

Interessanti, anche se tutt’altro che sorprendenti, le attese di riduzione strutturale della domanda di prodotti petroliferi sul mercato nazionale, destinata ad aggravare la già difficile situazione della raffinazione in Italia.

La relazione è integrata da un corposo databoook energia e petrolio [se il file risulta illeggibile, rinominatelo aggiungendo l’estensione .pdf].

Per chi volesse fare un po’ di serie storiche, oltre alla sezione statistica del sito UP, rimando anche alle relazioni degli anni passati: 2008, 2009, 2010, 2011, 2012 e 2013.