Le 50 compagnie petrolifere più grandi al mondo

Il Petroleum Intelligence Weekly ha pubblicato l’edizione 2014 della consueta classifica delle 50 compagnie petrolifere più grandi al mondo. La classifica si basa su sei criteri: produzione di petrolio e di gas, riserve di petrolio e di gas, vendite di prodotti e capacità di raffinazione.

Come negli ultimi 25 anni, al primo posto si trova Saudi Aramco. Al secondo posto l’iraniana NIOC e al terzo la cinese CNPC, che ha scalzato quest’anno dal podio ExxonMobil. Al sesto posto la prima europea, Shell, mentre Eni si posiziona ventiduesima.

EI - 2014 Petroleum Intelligence Weekly Top 50

 

L’inattesa caduta dei prezzi del petrolio

GME - Newsletter 2014/10Il GME ha pubblicato ieri il numero di ottobre della propria newsletter mensile. Accanto alle consuete analisi dell’andamento dei mercati elettrico, del gas e dei certificati ambientali, il numero di ottobre propone anche un’analisi di Alberto Clô dedicata alla contrazione delle quotazioni del greggio.

Due le cause principali, secondo l’analisi. “Primo, lato offerta, il ciclo degli investimenti che si è avviato dalla metà del decennio scorso, con una spesa totale tra 2003 e 2013 di 4.000 mild. doll. nel solo upstream, che ha generato un sensibile aumento dell’offerta corrente e della capacità produttiva di petrolio (oltre i 100 mil. bbl/g).

“Secondo, lato domanda, la sua distruzione strutturale nei paesi industrializzati (2005-2013: -5,0 mil. bbl/g) – quale effetto combinato dell’elasticità ai più elevati prezzi, dei miglioramenti d’efficienza, della recessione – ed il rallentamento congiunturale della crescita della domanda nei paesi emergenti (specie nell’area asiatica)”.

Tra i diversi spunti proposti nell’analisi, ne segnalo uno che spesso si dimentica nei commenti alla situazione attuale: “un calo della produzione Opec non porterebbe poi necessariamente ad un rialzo dei prezzi per l’asimmetria tra la qualità dei greggi che registrano il più consistente surplus (light-sweet) e quella Opec più sbilanciata sulle qualità sour”. Tecnicalities che possono fare la differenza.

Produttori in difficoltà, ma l’OPEC non è morto

L’Organization of the Petroleum Exporting Countries, meglio conosciuta come OPEC, è da oltre quaranta anni uno degli attori fondamentali dei mercati petroliferi mondiali. Con qualche capatina politica, soprattutto a partire dagli anni Settanta.

L’OPEC conta oggi 12 stati membri: Algeria, Angola, Arabia Saudita, Ecuador, Emirati Arabi Uniti, Iran, Iraq, Kuwait, Libia, Nigeria, Qatar, Venezuela. Nel complesso, questi Paesi producono circa il 40% del totale mondiale e sono stati duramente colpiti dalla contrazione dei prezzi del greggio.

A questa riduzione del valore delle esportazioni a parità di volume si somma anche la crescente concorrenza da parte della produzione non-OPEC. Alla vigilia di un vertice, quello del 27 Novembre, in cui difficilmente si vedranno tagli importanti alla produzione per difendere i prezzi, qualcuno parla di un mondo senza OPEC, indicando la causa principale nella produzione non convenzionale nordamericana.

Eppure, a ben vedere, chi in questo momento fa più fatica a misurarsi col futuro che va oltre il trimestre sono proprio i produttori statunitensi, che hanno alti costi di produzione e necessità di continuo rifinanziamento delle trivellazioni. Una situazione alquanto diversa dai tempi e dalle logiche di sviluppo dei giacimenti convenzionali, soprattutto nel Golfo Persico.

A giocare a favore della posizione dei Paesi OPEC nel lungo periodo è poi la distribuzione delle riserve a livello mondiale: oggi si trivella e si produce soprattutto al di fuori dell’OPEC, ma l’inevitabile destino sembra essere quello di una centralità dei Paesi OPEC su basi essenzialmente geologiche.

iserve provate di petrolio: ripartizione tra Paesi OPEC e non-OPECRiserve provate di petrolio: i primi 20 Paesi al mondoUn inevitabile recupero di quote nel lungo periodo che infatti si riflette anche nello scenario di riferimento dell’edizione 2014 del World Oil Outlook, dove la produzione dei Paesi OPEC resta stabile nel medio e cresce nel lungo, l’esatto contrario della produzione non-OPEC.

OPEC - Long-term liquids supply outlook in the Reference Case

Le difficoltà per l’OPEC certo non mancano, soprattutto nella gestione dei rapporti tra gli agiati produttori del Golfo e quanti, dall’Algeria al Venezuela, fanno fatica a tenere il passo della propria spesa pubblica. Ma di qui a dare per morto l’OPEC ce ne passa.

 PS: l’articolo del NYT da cui parte questa riflessione rimanda a un più ampio, articolato e in parte condivisibile articolo di Foreign Policy.

L’impatto del prezzo del greggio sull’energia in Europa

The Impact of the Oil Price on EU Energy Prices STUDY AbstractNonostante sia confinato sempre di più ai trasporti, il petrolio rappresenta un punto di riferimento per i mercati energetici e le sue quotazioni hanno ancora un’influenza significativa sui mercati di altre fonti.

Sul tema, segnalo un interessante studio pubblicato dal Parlamento Europeo col titolo di The Impact of the Oil Price on EU Energy Prices. Si tratta di un lavoro corposo, che propone una parte analitica e una prescrittiva, allo scopo di ridurre l’influenza delle alte quotazioni del greggio sui mercati europei.

Dopo un capitolo introduttivo, il secondo capitolo analizza le tendenze dei mercati all’ingrosso di petrolio, gas, carbone, elettricità e prodotti petroliferi, mentre il terzo capitolo si occupa dei mercati finali di elettricità e gas.

Il quarto capitolo  è invece dedicato ai fattori che influenzano l’impatto dei prezzi del greggio sulle altre fonti, mentre il quinto è dedicato a individuare le opzioni di policy per l’UE. Infine, sono molto interessanti le appendici, in particolare quelle sui fondamentali del mercato del gas e sui fondamentali del mercato del carbone.

Lo studio è di febbraio e nel frattempo la questione dei prezzi del greggio troppo alti si è attenuata, ma forse coi prezzi in discesa la questione della relazione coi prezzi delle altre fonti è ancora più attuale: lo studio vale almeno una rapida occhiata.

Produttori petroliferi: chi è in affanno a 85 dollari?

Il prezzo del greggio si è attestato su valori prossimi agli 85 dollari al barile, ma se e quanto tornerà a scendere restano domande aperte. Intanto, anche a questi livelli di prezzo, la sostenibilità dei bilanci pubblici di molti produttori di greggio è ancora una questione aperta.

Segnalo due documenti in merito. Il primo è del Fondo monetario internazionale, che ha pubblicato il Regional Economic Outlook di ottobre relativo a Medio Oriente e Asia Centrale.

Ricco di dati e di proiezioni relative all’andamento delle economie delle due macroregioni, l’outlook contiene anche un’interessante tabella dedicata ai livelli di prezzo del petrolio che consentono il pareggio fiscale (fiscal breakeven) e il pareggio di bilancia corrente (external breakeven).

IMF - Oil producers fiscal and external breakeven oil pricesIl grafico per il 2014 che si ricava da questi dati  consente di vedere chiaramente chi, se le quotazioni correnti continuasserro, sarebbe in affanno. Particolarmente delicata la situazione di Yemen, Algeria, Iraq e Libia (che ha valori troppo alti per stare nel grafico).

Prezzo del greggio e punti di pareggio di alcuni Paesi produttori

Segnalo anche un secondo studio, di Deustche Bank, che sul tema del prezzo di pareggio di bilancio propone una tabella globale. Da notare come le previsioni per il 2015 siano di prezzi medi sopra i 100 dollari. A sperare nella bontà delle previsioni tedesche sono di sicuro parecchi governi.

DB - Budget breakeven pricesIntanto dai sauditi qualche segnale di inversione della tendenza sembrerebbe arrivare, ma è presto per dire cosa accadrà. Stratfor prevede un recupero ma a livelli inferiori a 100 dollari, a causa della debolezza della domanda.

Greggio in discesa: e i bilanci pubblici?

Segnalo un bel pezzo dell’Economist dal titolo Cheaper oil. Winners and losers. L’articolo affronta con chiarezza l’impatto della discesa delle quotazioni del greggio, sia sui consumatori, sia sui produttori.

Particolarmente interessante l’infografica, di cui riporto la parte più significativa: il prezzo del petrolio a cui i bilanci pubblici di alcuni grandi esportatori raggiungono il pareggio.

Government budget's break-even oil price (© The Economist 2014)

Iran, Bahrain, Ecuador, Venezuela, Algeria, Nigeria e Iraq sembrano essere particolarmente esposti. La Russia, invece, lo è meno, per diverse ragioni: un livello di pareggio più basso, riserve valutarie più ampie, margine di svalutazione del rublo (che compensa il minor valore delle esportazioni di greggio), spesa pubblica più facilmente modulabile (tagliando la spesa militare).

Tuttavia il grafico mostra solo il livello di prezzo, ma non considera due variabili chiave: le quantità esportate e il tempo. Quest’ultimo fattore è in realtà quello determinante: se si supera l’anno e mezzo, anche la Russia rischia di non reggere economicamente.

Ma in un anno e mezzo di cose ne succedono tante. Chiedere a Yanukovich, per esempio.